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Quando Richard Avedon fotografò le cicatrici di Andy Warhol

Per alcuni Richard Avedon è considerato una specie di divinità. I suoi ritratti erano spesso caratterizzati da un’alta drammaticità grazie al magistrale uso delle luci. Proprio quello che accadde nella celebre foto delle ferite di Andy Warhol.
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Quando Richard Avedon fotografò le cicatrici di Andy Warhol

Per alcuni Richard Avedon è considerato una specie di divinità. I suoi ritratti erano spesso caratterizzati da un’alta drammaticità grazie al magistrale uso delle luci. Proprio quello che accadde nella celebre foto delle ferite di Andy Warhol.
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Quando Richard Avedon fotografò le cicatrici di Andy Warhol

Per alcuni Richard Avedon è considerato una specie di divinità. I suoi ritratti erano spesso caratterizzati da un’alta drammaticità grazie al magistrale uso delle luci. Proprio quello che accadde nella celebre foto delle ferite di Andy Warhol.
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Per alcuni Richard Avedon è considerato una specie di divinità. I suoi ritratti erano spesso caratterizzati da un’alta drammaticità grazie al magistrale uso delle luci. Proprio quello che accadde nella celebre foto delle ferite di Andy Warhol.
Richard Avedon, ebreo di origini russe, nacque a New York il 15 maggio del 1923 e morì a San Antonio nel Texas il 1 ottobre del 2004. Nella storia della fotografia occupa un posto di straordinaria importanza e gli appassionati lo considerano una specie di divinità. Il suo stile per le immagini di moda fu rivoluzionario e forse impareggiabile: l’immagine della modella Dovima con gli elefanti rimane difficile da superare. Sono suoi anche i ritratti più intensi di Marilyn Monroe, Jorge Luis Borges, John Ford, Andy Warhol.

A proposito di quest’ultimo, Valerie Jean Solanas un giorno andò da Warhol e gli sparò. Ferì anche alcuni dei suoi collaboratori. Andy aveva rifiutato il testo teatrale di Valerie e se lo era anche perso. Un anno dopo Avedon riprese Warhol in studio con lo sfondo grigio scuro mentre mostrava le ferite che devastavano il suo addome, con le tracce dei punti chirurgici. Lo sfondo è molto importante e guida la percezione di chi guarda al pari della luce; il fotografo illuminò con energia il corpo e il volto dell’artista, vestito di nero, e tutto balzò agli occhi come una foto di cronaca, quasi fosse stato sorpreso in un vicolo buio dei bassifondi.

E dire che stiamo invece parlando di uno scatto in studio, dove le luci possono essere calibrate minuziosamente e la disposizione è più che mai libera. I flash da studio sono quasi sempre preferiti alla luce continua, a meno di non avere uno studio con luce naturale e soffitto in vetro: meraviglioso, ma di sera per forza si torna ai tradizionali flash. La loro illuminazione deve essere ammorbidita dalla riflessione di appositi ombrelli – o dai bank e dalle window light (grandi strutture rettangolari che simulano perfettamente la luce del giorno con i flash disposti all’interno) – e consentono di costruire l’atmosfera di un ritratto grazie alla calibrazione del contrasto e della luminosità.

In genere per il ritratto si usano due sorgenti disposte ai lati del soggetto con una inclinazione di 45 gradi, regolate con una potenza diversa per consentire il lieve contrasto; per aumentare la drammaticità si può usare una sola sorgente, magari lievemente addolcita da un pannello riflettente. E l’uso di questi strumenti si può facilmente dedurre osservando i riflessi negli occhi del soggetto sulla fotografia. Si può vedere con chiarezza quante e quali sorgenti luminose siano state usate, basta ingrandire un po’ l’immagine o guardarla con una lente.

A un certo punto Avedon capì che poteva gestire lo sfondo anche per contrapposizione e usò spesso uno sfondo bianco molto luminoso per i ritratti ravvicinati più seri, a volte anche cupi, come la sequenza del padre morente poi esposta al Moma di New York. Fu una vera svolta.

I suoi scatti divennero ancor più protagonisti della stampa, delle gallerie e dei periodici specializzati, che gli dedicarono ampio spazio ripetutamente, sottolineando la sua personalità di maniaco della perfezione e il gelido distacco dai soggetti, coi quali rifiutava crudelmente qualsiasi parvenza di rapporto umano. Resta celebre la frase di Henry Kissinger prima della sessione di scatti: «Sia clemente con me…».

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