Striscia la Notizia, la satira che costruisce notizie
Il 7 novembre 1988 va in onda la prima puntata di “Striscia la Notizia” il cui successo, con la satira che costruisce la notizia, resiste fino ad oggi
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Striscia la Notizia, la satira che costruisce notizie
Il 7 novembre 1988 va in onda la prima puntata di “Striscia la Notizia” il cui successo, con la satira che costruisce la notizia, resiste fino ad oggi
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Striscia la Notizia, la satira che costruisce notizie
Il 7 novembre 1988 va in onda la prima puntata di “Striscia la Notizia” il cui successo, con la satira che costruisce la notizia, resiste fino ad oggi
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Il 7 novembre 1988 va in onda la prima puntata di “Striscia la Notizia” il cui successo, con la satira che costruisce la notizia, resiste fino ad oggi
Nel 1988 Antonio Ricci è a un bivio. Arrivato in Fininvest cinque anni prima, aveva piazzato subito un colpo: quel “Drive In” capace di rivoluzionare il concetto stesso di varietà. Poi, dopo l’esperienza non memorabile di “Lupo Solitario” – che però fu definito da Umberto Eco «il varietà del futuro» – ha creato “Matrjoska”, un format dove c’è di tutto: da Moana Pozzi in nudo integrale a un pupazzo (lo Scrondo) che vomita in diretta sino a un coro di Comunione e Liberazione che canta in studio.
Dura una sola puntata ed è lo stesso Berlusconi a chiederne la sospensione. Ricci lo riadatta allora ne “L’Araba Fenice”, che però non punge come dovrebbe. Così quando il 7 novembre 1988 va in onda la prima puntata di “Striscia la Notizia”, un tg satirico che dovrebbe parodiare i notiziari ‘seri’, per lui è un’occasione da non fallire. Per riuscirci si affida a due fedelissimi (Ezio Greggio e Gianfranco D’Angelo) e punta su uno stile più soft. Inizialmente trasmesso su Italia 1, il programma dura un mese. Poi, dalla stagione successiva, diviene un appuntamento fisso e fa la storia.
La prima versione di “Striscia” – figlia della fine degli anni Ottanta, con l’informazione istituzionale tripartita fra Dc, Psi e Pci – è una novità che coglie subito nel segno e crea un modo differente di fare notizia. Arrivano le prime inchieste serie e l’Italia trova così un megafono tramite il quale denunciare le proprie storture nascoste. “Striscia” ci traghetta così fra la fine della prima Repubblica e l’epoca berlusconiana adattandosi ai tempi, fra accuse di qualunquismo, di sessualizzazione della figura femminile, di parzialità (come nel caso delle presunte irregolarità del programma concorrente “Affari tuoi”).
È però grazie a questo tg satirico che nasce l’inchiesta che fa luce sulle truffe di Wanna Marchi; sempre un suo servizio porterà alla creazione di una Commissione parlamentare per indagare sull’esposizione all’uranio impoverito a cui sono stati sottoposti negli anni Novanta i militari italiani di stanza nei Balcani. Accanto a queste inchieste, tante altre piccole storie – specchio della nostra Italia – possono trovare finalmente i riflettori delle telecamere e una possibilità di giustizia.
Negli anni “Striscia” è divenuta un po’ come quei grandi calciatori a fine carriera che entrano nell’ultimo quarto d’ora perché sai che possono sempre regalarti un colpo vincente: non è più costantemente sorprendente ma riserva qualche scoop, come nel recente caso Giambruno. Il menu ogni sera cambia, restando in fondo sempre lo stesso: tapiri consegnati, inviati locali, qualche macchietta di troppo, carriere lanciate, decine di conduttori avvicendatisi al comando e l’affetto di un pubblico comunque fedele. Menzione d’onore infine al Gabibbo, vero e proprio paladino della giustizia popolare dall’inconfondibile parlata genovese.
E torna alla mente un collega che anni fa, di fronte a una signora che invocava il “vendicatore rosso” per denunciare un torto subìto dall’amministrazione, ci lasciò un quesito amletico: «Ma che Paese è quello nel quale la gente si fida più di un pupazzo che dei giornalisti?». È l’Italia, amico mio. Ma per fortuna non è l’unica che abbiamo.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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