Tom Joad sulla Route 66
Il legame tra Bruce Springsteen e Tom Joad, protagonista di “Furore”, premio Nobel per la Letteratura nel 1962
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Tom Joad sulla Route 66
Il legame tra Bruce Springsteen e Tom Joad, protagonista di “Furore”, premio Nobel per la Letteratura nel 1962
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Tom Joad sulla Route 66
Il legame tra Bruce Springsteen e Tom Joad, protagonista di “Furore”, premio Nobel per la Letteratura nel 1962
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Il legame tra Bruce Springsteen e Tom Joad, protagonista di “Furore”, premio Nobel per la Letteratura nel 1962
Il 21 novembre 1995 esce per la Columbia Records l’undicesimo album in studio di Bruce Springsteen, “The Ghost of Tom Joad”. L’anno prima il rocker di Freehold aveva ricevuto il premio Oscar per la miglior canzone con “Streets of Philadelphia”, colonna sonora della pellicola di Jonathan Demme “Philadelphia” (1993), interpretato da Tom Hanks e Denzel Washington. Tom Joad è il protagonista di “Furore” (“The Grapes of Wrath”, ovvero grappoli d’ira) di John Steinbeck, insignito del Nobel per la Letteratura nel 1962.
Springsteen aveva visto l’omonimo film di John Ford, con Jane Darwell e un giovane Henry Fonda nel ruolo del protagonista. Poi aveva letto e riletto “Furore” forse con impeto, con commozione. Aveva preso appunti su quaderni sbrindellati nella sua casa a Los Angeles, scrivendo parole e musica accompagnato da una semplice chitarra acustica, lasciandosi ispirare da una vecchia ballata di Woody Guthrie.
Dopo la pubblicazione del disco, il 20 febbraio 1996 il “Boss” aprì il Festival di Sanremo cantando proprio “The Ghost of Tom Joad”: capelli leccati all’indietro, pizzetto, camicia beige, corde gracchianti, testo tradotto in sovraimpressione. Un’esibizione da brividi. Andò in concerto senza riempire gli stadi ma proponendo spettacoli intimisti a teatro, dove poteva far sfoggio della sua grande capacità di storyteller. Uno Springsteen proletario (come sempre) e ancor di più dalla parte dei reietti, dei diseredati. “Furore” è infatti il romanzo del viaggio disperato verso la terra promessa, la California, nell’epoca della Grande depressione. Un’epopea biblica lungo la Route 66.
Come osserva Luigi Sampietro nel contributo introduttivo all’edizione Bompiani, «quando uscì in America, nell’aprile del 1939, “The Grapes of Wrath” fece scandalo e furore. Fu un trionfo di pubblico e l’anno seguente ricevette il premio Pulitzer per la narrativa. […] Da noi, Elio Vittorini ebbe modo di segnalarlo all’editore Valentino Bompiani, cui si deve peraltro la felice intuizione del titolo italiano, e il libro fu tradotto in pochi mesi. Arrivò in libreria già nel gennaio del 1940».
A pagina 435 della nuova traduzione a cura di Sergio Claudio Perroni, Steinbeck parla per bocca di Joad, che si congeda definitivamente dalla madre: «E così non importa. Perché io ci sarò sempre, nascosto e dappertutto. Sarò in tutt’i posti… dappertutto dove ti giri a guardare. Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Dove c’è uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò lì. Se Casy aveva ragione, be’, allora sarò negli urli di quelli che si ribellano… e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la minestra è pronta. E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà nelle case che ha costruito… be’, io sarò lì. Capisci?».
È questo lo stralcio del libro che Springsteen ha scelto di citare esplicitamente nella terza strofa della canzone. La «grande anima» (l’Over-Soul emersoniano) ha reso Tom il fantasma che torna negli anni Novanta, persino oggi a combattere contro l’ingiustizia, a ricordarci la possibilità eterna del riscatto.
di Alberto Fraccacreta
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