Uffizi-Jean Paul Gaultier, l’arte ad uso del business
Uffizi-Jean Paul Gaultier, l’arte ad uso del business
Uffizi-Jean Paul Gaultier, l’arte ad uso del business
La maison di moda francese Jean Paul Gaultier utilizza l’immagine della Venere di Botticelli per farne abiti e il direttore degli Uffizi le fa causa. Cosa c’è che non va? Tante cose.
Riproduzioni delle immagini di beni culturali a scopo di lucro vengono quotidianamente eseguite nell’indifferenza generale. I soggetti che custodiscono quei tesori non reclamano alcunché, non presentano il conto, non pretendono compartecipazione ai corrispettivi delle aziende. E così da decenni tutti coloro che vogliono usare immagini di beni culturali per produrre i propri articoli (come nel caso odierno di Jean Paul Gaultier) o per reclamizzare i propri prodotti, sono convinti di poterlo fare liberamente senza pagare alcun corrispettivo: un caso di corresponsabilità omissiva degli enti che hanno rafforzato o indotto tale convinzione.
Ha fatto notizia la dura reazione di Eike Schmidt, custode pro tempore delle collezioni degli Uffizi; nell’Italia dei tesori culturali dovrebbe invece essere regola consolidata il vigilare sugli usi materiali e immateriali dei beni culturali, vietare ciò che non è conforme alla loro dignità e pretendere il pagamento di corrispettivi proporzionati agli utili incassati grazie alle riproduzioni delle loro immagini. Accade così che le aziende ‘prendano’ senza aver prima chiesto alcun permesso, che le anime belle (dirigenti pubblici, archeologi e aspiranti opinion leader) invoglino queste rapine al grido «Patrimonio culturale gratis per tutti e per tutto!» e che le amministrazioni pubbliche che gestiscono quei beni assistano passive e prive di competenza tecnica rispetto agli usi commerciali non autorizzati. È l’eterna storia dei beni pubblici che tutti usano (anche a scopo di lucro) ma per i quali nessuno vuole pagare: dai beni culturali alle concessioni balneari, la logica è sempre la stessa. Più il bene è comune e più resta indifeso.
Per questo occorre istituire un’Agenzia per la valorizzazione economica del patrimonio culturale. Mentre la Siae protegge i diritti di proprietà intellettuale privata, manca tuttora un’organizzazione ad hoc che tuteli economicamente la proprietà culturale pubblica. Per tutto il Novecento si è pensato di salvaguardare i beni culturali. L’obiettivo può dirsi raggiunto. Ora vanno valorizzati economicamente, per evitare vere e proprie rapine da parte delle aziende e anche per contribuire al riequilibrio dei conti pubblici.
di Antonio Leo TarascoLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche