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lorenzo brufani competence

Brufani di Competence, che fatica spiegare la reputation a certe aziende!

Il viaggio tra i comunicatori continua con Lorenzo Brufani di Competence Communication: “Non è una questione di soldi ma di strategia. Le persone non si fanno più comperare”
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Brufani di Competence, che fatica spiegare la reputation a certe aziende!

Il viaggio tra i comunicatori continua con Lorenzo Brufani di Competence Communication: “Non è una questione di soldi ma di strategia. Le persone non si fanno più comperare”
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Brufani di Competence, che fatica spiegare la reputation a certe aziende!

Il viaggio tra i comunicatori continua con Lorenzo Brufani di Competence Communication: “Non è una questione di soldi ma di strategia. Le persone non si fanno più comperare”
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Il viaggio tra i comunicatori continua con Lorenzo Brufani di Competence Communication: “Non è una questione di soldi ma di strategia. Le persone non si fanno più comperare”
Lorenzo Brufani, “da grande”, voleva fare l’inviato di politica estera. Uno stage alla CNN di Washington ai tempi della presidenza Clinton aveva rafforzato questa certezza, poi vacillata con il rientro in Italia e un mondo del lavoro molto diverso in termini di opportunità. Se non ci fosse stato questo “fuori programma”, probabile che Competence Communication, la sua agenzia di comunicazione, non avrebbe mai visto la luce. Quindici anni dopo e una 40ina di persone tra collaboratori e dipendenti confermano la scelta vincente fatta a suo tempo. Un passato da capo ufficio stampa a Borsa Italiana, poi le dimissioni per ricominciare tutto da capo, forte però della sua grande conoscenza dell’impresa italiana. Partendo da questo, che consiglio darebbe alle aziende? In cosa devono ancora migliorare nel campo della comunicazione?  Io lavoro soprattutto sulla reputazione. Sono quello che costruisce, migliora o difende la reputazione e faccio ancora fatica a spiegare alle aziende, anche quelle grandi, quanto oggi la reputazione sia un aspetto imprescindibile. Molte sono ancora focalizzate sul “return on investment” quando è altrettanto importante il “return on influence”. Un’azienda vince o perde sul mercato non solo più per la forza dei suoi prodotti e servizi ma anche per come riesce a raccontarli. Contano l’esperienza, l’engagement che non si ottengono più limitandosi a pagare un influencer che racconti una storia. Mi fa arrabbiare che certe realtà imprenditoriali pensino ancora che le persone si possano comprare. Non è nemmeno una questione di soldi ma di strategia. Ho lavorato 10 anni come portavoce di Tripadvisor per cui so di cosa parlo. Si cresce solo se si ascolta il consumatore. E’ il famoso marketing relazionale, in cui l’Italia è indietro rispetto ai paesi anglossassoni ma anche rispetto al nuovo mondo, come l’India e dintorni.  Mi sembra di capire che la difficoltà di molti stia nell’incapacità di considerare la reputation come un bene materiale, al pari degli altri.  Esatto. Solo che invece è misurabilissima. Esistono degli indici che trasformano le parole in numeri e consentono di vedere come questa evolva nel tempo. La reputazione non è una sola. C’è quella online e quella offline, entrambe necessitano di essere gestite e monitorate. E poi c’è il tema della reputazione interna.  Ovvero? Che cosa intende? In un momento in cui le aziende devono fare i conti con il fenomeno delle grandi dimissioni, è importantissimo lavorare su diversi fronti per creare una sorta di affiliazione con i propri dipendenti. Un tema molto sentito, per esempio, è quello della sostenibilità, grazie al quale in un certo senso si diventa ambasciatori della propria azienda. Di recente abbiamo vinto un premio proprio sulla comunicazione interna, per un lavoro svolto con Generali. Anche grazie alla nostra campagna di marketing interno il piano “We share” di Generali è stato un successo: su 70mila dipendenti ben 25mila hanno comperato le azioni del gruppo. Quando parlo ai ragazzi a cui insegno alla Business School del Sole24Ore e dello IED  gli ricordo sempre di come l’intranet di un’azienda rappresenti un vero e proprio canale televisivo.  Dalla sua posizione privilegiata che ha a che fare con tanti giovani, come li vede questi ragazzi? Sono davvero così in crisi come ci vogliono far credere?  Vedo dei grandi talenti ma tristi e se lo sono è per colpa nostra. Sono convinti che non troveranno mai lavoro e che resteranno stagisti a vita. Io provo a fare con loro un po’ il poeta dell’ottimismo: li esorto a fare esperienze, ad andare all’estero. Alcuni però vogliono subito il grande nome, senza capire che soprattutto all’inizio non è importante dove vado ma cosa faccio. In generale mi pare di vedere che manchi spirito di sacrificio. Ecco perché chiedo sempre loro: hai mai lavorato come cameriere? Se la risposta è sì, avranno più chances di successo nella comunicazione perché da cameriere si prendono gli insulti dai clienti, si deve essere rapidi e puntuali e si deve saper sorridere.  Passiamo a un argomento che so esserle molto caro: le fake news, fenomeno apparentemente non arginabile. Quali strumenti hanno comunicatori e giornalisti per contrastarlo? Ci sono tante cose che si possono fare. Il mestiere del giornalista è cambiato tantissimo, soprattutto con il conflitto russo-ucraino, che si alimenta di fake-news, armi altrettanto incisive con cui combattere questa guerra. Purtroppo la velocità dei nostri tempi non sempre consente la possibilità di verificare le fonti come si dovrebbe. Poi c’è la bolla di internet. Se io ho una certa idea politica, per esempio, è probabile che i miei social mi propongano solo contenuti vicini a quell’idea. La preoccupazione va soprattutto ai giovani, che credono a tutto quello che vedono.  A proposito di credere a tutto, oggi si parla tanto di intelligenza artificiale, dei suoi vantaggi e dei suoi limiti. Cosa ne pensa di Chat GPT? E’ un’opportunità o una minaccia per noi addetti del mondo della comunicazione? Per me è uno strumento come un altro. Io per natura sono un ottimista. Faccio comunicazione d’impresa e potrei sentimi minacciato da un utilizzo massivo di questo strumento che , per esempio, potrebbe rubarmi una parte del mio business: lettere commerciali o individuazione delle parole chiave. Invece vivo Chat GPT come un acceleratore, un alleato per risparmiare tempo. Non prendo però per oro colato tutto quello che dice. Verifico sempre. E poi sa perchè non mi sento minacciato? Perché in quello che dice, come lo dice, non si coglie nessuna anima e, senza quella, sono solo parole.

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