Bukowski, allergico al Capodanno ma non al brindisi
La storia tormentata di Charles Bukowski, scrittore unico nel suo genere che descriveva senza compromessi la società delle porte in faccia e la disperazione di personaggi che affidano il loro futuro a una scommessa vincente.
| Editoria
Bukowski, allergico al Capodanno ma non al brindisi
La storia tormentata di Charles Bukowski, scrittore unico nel suo genere che descriveva senza compromessi la società delle porte in faccia e la disperazione di personaggi che affidano il loro futuro a una scommessa vincente.
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Bukowski, allergico al Capodanno ma non al brindisi
La storia tormentata di Charles Bukowski, scrittore unico nel suo genere che descriveva senza compromessi la società delle porte in faccia e la disperazione di personaggi che affidano il loro futuro a una scommessa vincente.
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La storia tormentata di Charles Bukowski, scrittore unico nel suo genere che descriveva senza compromessi la società delle porte in faccia e la disperazione di personaggi che affidano il loro futuro a una scommessa vincente.
È la notte di Capodanno del 1973. «A mezzanotte in punto, Los Angeles ha cominciato a piovere sulle foglie di palma fuori dalla mia finestra, i clacson e i fuochi d’artificio erano svaniti e tuonava. Ero andato a letto alle 21.00, spente le luci tirate su le coperte – la loro letizia, la loro felicità, le loro urla, i loro cappelli di carta, le loro automobili, le loro donne, i loro ubriachi dilettanti… La notte di Capodanno mi atterrisce sempre, la vita non sa nulla degli anni. Adesso i clacson si sono ammutoliti e i fuochi d’artificio e i tuoni… Tutto è finito in cinque minuti… Odo soltanto la pioggia sulle foglie di palma, e penso: non capirò mai gli uomini, ma è andata anche questa». La vita non sa nulla degli anni. Quelli di Bukowski partono in Germania, da un padre americano di origini polacche e una madre tedesca; il ragazzo è schivo, timido, dilaniato dall’acne, l’infanzia gli regala solo un padre violento e tante difficoltà nell’inserimento. A tre anni si trasferisce negli Stati Uniti, ma la storia non cambia: vessato dai figli dei vicini è sempre più solo e triste.
A 13 anni il primo incontro con la compagna fedele che gli sarà accanto per tutta la vita: la bottiglia. A 24 anni il primo racconto “Aftermath of a Lengthy Rejection Slip”, due anni dopo arriva il secondo “20 Tanks from Kasseldown”. Il successo non arriva e Bukowski si prende una «sbronza di dieci anni», durante i quali non scriverà più. Anni debordanti, eccessivi. Calpesta luoghi poeticamente squallidi e hotel da quattro soldi, vive a Los Angeles ma vagabondeggia in tutti gli Stati Uniti fra lavori saltuari e bar malfamati. Tra il 1960 e il 1969 lavora all’ufficio postale di Los Angeles, continuando a chiedersi come sia possibile che a un uomo «piaccia essere svegliato alle 6.30 da una sveglia, scivolare fuori dal letto, vestirsi, mangiare a forza, lavarsi i denti e pettinarsi, poi combattere contro il traffico, per finire in un posto dove essenzialmente fai un sacco di soldi per qualcun altro e ti viene chiesto di essere grato per l’opportunità di farlo».
Nel 1969 la casa editrice Black Sparrow gli propose uno stipendio di 100 dollari al mese per tutta la vita. Gli rimanevano a quel punto due alternative: restare all’ufficio postale e impazzire o andarsene a fare lo scrittore e morire di fame. Scelse ovviamente la seconda. Passò meno di un mese e terminò di scrivere il suo primo romanzo, “Post Office”, pubblicato nel 1971. Fu la consacrazione. Seguirono altri cinque romanzi, molti racconti, una serie interminabile di poesie, tante storie di una notte e molto alcol, fino al 9 marzo del 1994, quando all’età di settantatré anni troverà ad aspettarlo l’ultimo «bicchiere di vino mescolato a cenere di sigaro e tristezza».
Influencer prima dell’invenzione di Twitter, tra frasi brevi e dialoghi fulminanti descrive senza compromessi la società delle porte in faccia, la disperazione di personaggi che affidano il loro futuro a una scommessa vincente. Mentre molti libri sono stati consumati dal tempo, perdendo la loro carica dirompente, la scrittura di Bukowski sputa ancora rabbia e miseria, non edulcora, non si vergogna della propria sgradevolezza.
Il Capodanno non gli era mai piaciuto: «A fine anno non tiro somme, la matematica non è mai stata il mio forte. Spero di essere rimasto nel cuore di qualcuno, o contrariamente nel cestino della carta di qualcun altro». Ora che i clacson e i fuochi d’artificio sono svaniti, conviene riprendere dal cestino quei pezzi di carta.
di Francesco Rosati
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Tag: libri
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