Carlo Bo e il poeta da vivere
Tornano in libreria i saggi dedicati a Ungaretti in un elegante cofanetto edito da Raffaelli, con la cura meticolosa e partecipe di Eleonora Conti, “Ungaretti, un poeta da vivere”.
| Editoria
Carlo Bo e il poeta da vivere
Tornano in libreria i saggi dedicati a Ungaretti in un elegante cofanetto edito da Raffaelli, con la cura meticolosa e partecipe di Eleonora Conti, “Ungaretti, un poeta da vivere”.
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Carlo Bo e il poeta da vivere
Tornano in libreria i saggi dedicati a Ungaretti in un elegante cofanetto edito da Raffaelli, con la cura meticolosa e partecipe di Eleonora Conti, “Ungaretti, un poeta da vivere”.
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Tornano in libreria i saggi dedicati a Ungaretti in un elegante cofanetto edito da Raffaelli, con la cura meticolosa e partecipe di Eleonora Conti, “Ungaretti, un poeta da vivere”.
In uno scritto del 1939 Carlo Bo annotava: «La soggezione d’Ungaretti a un’immagine pura e essenziale di poesia ha dettato i passaggi della sua coscienza: a considerarla dalle origini, si può dire che l’abbia addirittura portato a una nozione attiva della verità, al senso aperto della creazione». La lunga fedeltà del critico ligure a “Ungà” è testimoniata da un (serrato) percorso esegetico che parte proprio dalla fine degli anni Trenta e arriva sino alla soglia ultima del viaggio terrestre di Bo: con un breve articolo apparso su “Gente” del marzo 2001, “La poesia e la fede”, dove si afferma sintomaticamente «la stessa appartenenza della poesia e della fede a un uguale registro di vocazione e aspirazione a Dio». Il tema era la giustapposizione di un libro di papa Roncalli a un quaderno «di officina» dell’«uomo dal cuore puro».
Ora i saggi di Bo dedicati a Ungaretti sono tornati disponibili in un elegante cofanetto edito da Raffaelli con la cura meticolosa e partecipe di Eleonora Conti, “Ungaretti, un poeta da vivere”: se il primo volume contiene appunto i ventotto contributi dello storico rettore dell’Università di Urbino (pubblicati originariamente su riviste e giornali come “Campo di Marte, “La Fiera Letteraria”, “Corriere della Sera”), il secondo presenta lettere, dediche, immagini, documenti preceduti da una colta prefazione di Carlo Ossola, che osserva nel carteggio «l’urgere di una parola che sia bellezza e verità». Un esempio? Ecco cosa scrive Ungaretti in una missiva indirizzata a Bo del 21 gennaio 1946: «Se riguardo oggi, con una coscienza più chiara, alle cose passate, quello sforzo che ho fatto per rendere la mia espressione esteticamente più convincente, non m’appare più se non come un chiarimento di coscienza, e che aveva di mira non il bello, poiché la bellezza è un attributo implicito, ma la necessità di sapere con qualche certezza, e di essere vero nelle mie povere parole. So bene che un uomo non può testimoniare che per sé, e per i suoi tempi; ma la sua sofferenza può suggerirgli le ragioni causali dell’universale infermità della natura, e il fine dell’espiazione, e la speranza d’una pura bellezza risuscita per dolorante volontà». Una lucida dichiarazione di poetica che si amalgama perfettamente alla suprema endiadi creata da Bo – sulla scorta di Charles Du Bos – ossia «letteratura come vita», bandella puntualissima per decrittare Ungaretti, se si pensa anche al titolo della raccolta complessiva della sua stagione lirica, “Vita d’un uomo” (1969).
D’altra parte, nell’introduzione Conti sottolinea giustamente l’esistere di «una verità nell’interrogare»: la critica «intrinsecamente diaristica» di Bo è così lo specchio esatto della poesia sfrangiata e adamantina di Ungaretti, «atteggiamento di preghiera», «luce del simbolo», «memoria esaltata del proprio sentimento».
di Alberto Fraccacreta
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