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Emmanuel Carrère ripercorre la notte del Bataclan con il libro “V13”

Solo 3 settimane fa Emmanuel Carrère ha presentato a Roma “V13”, libro che ripercorre l’attentato del Bataclan. Le sue parole risuonano più forti a poche ore dai fatti di Tel Aviv
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Emmanuel Carrère ripercorre la notte del Bataclan con il libro “V13”

Solo 3 settimane fa Emmanuel Carrère ha presentato a Roma “V13”, libro che ripercorre l’attentato del Bataclan. Le sue parole risuonano più forti a poche ore dai fatti di Tel Aviv
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Emmanuel Carrère ripercorre la notte del Bataclan con il libro “V13”

Solo 3 settimane fa Emmanuel Carrère ha presentato a Roma “V13”, libro che ripercorre l’attentato del Bataclan. Le sue parole risuonano più forti a poche ore dai fatti di Tel Aviv
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Solo 3 settimane fa Emmanuel Carrère ha presentato a Roma “V13”, libro che ripercorre l’attentato del Bataclan. Le sue parole risuonano più forti a poche ore dai fatti di Tel Aviv
«Abbiamo vissuto – io e le persone che come me hanno assistito al processo – un’esperienza  inattesa». Con queste parole ha cominciato il suo intervento Emmanuel Carrère – giornalista e regista – in occasione della presentazione romana di “V13”, la sua ultima opera, alla rassegna “Libri Come”. Edito da Adelphi, ripercorre l’orrore dell’attentato avvenuto a Parigi il 13 novembre 2015, passato alla storia come la notte del Bataclan. Lo fa attraverso le parole dei sopravvissuti echeggiate in un’aula di tribunale durante un processo lungo 9 mesi. “V13” è il libro dell’ascolto. «Non ho letto molto durante la stesura» continua Carrère. “Partecipare a quelle udienze è stato talmente forte che, tornato a casa, non facevo altro. Posso dire che non mi sono mai trovato davanti a un foglio bianco. Ho scritto il libro perché ho preso talmente tanti appunti che un articolo a settimana – quello che ero tenuto a fare in contemporanea al processo – non bastava». “V13” è un racconto del reale, riporta testimonianze dolorose, raccapriccianti. Ripercorre momenti lunghi una vita, ma in realtà durati pochi attimi, che hanno segnato l’esistenza di milioni di persone e di tutto l’Occidente, almeno dopo quanto avvenuto l’11 settembre 2001. «Il giornalismo è un genere letterario per me, e questo semplicemente è giornalismo» dice indicando la copertina di “V13” con “il Concetto spaziale” di Lucio Fontana. Nel libro, Carrère parla anche di propaganda e spiega una differenza notevole con il passato: «Lo Stato islamico mostra il sadismo, non lo nasconde né camuffa. E questo tipo di propaganda la stiamo vedendo anche in Ucraina». Dalla propaganda passa all’ideologia, non quella dello Stato islamico, ma quella di chi «durante il processo ripeteva “non avrete il mio odio”. Molte delle persone che hanno testimoniato sembra lo abbiano interiorizzato, anche se al tempo stesso non credo sia vero al 100%. Non penso si possa essere così veramente fino in fondo, ma di certo c’è la volontà di contenere l’odio». Il processo raccontato in “V13” – di cui Carrère parla come “rappresentazione” – ha a suo dire del surreale, perché è stato punito con l’ergastolo l’imputato sopravvissuto che non ha ucciso nessuno. Il suo nome è Salah Abdeslam ed è uno degli attentatori del Bataclan, l’unico che inspiegabilmente ha scelto di non farsi esplodere. Per paura, per poco coraggio, per ravvedimento? Non si sa. «Bisognava rivolgersi all’opinione pubblica per dare un esempio. Sia chiaro, per la sua sentenza nessuno ha sofferto. È stato un processo esemplare in cui però la giustizia è stata esagerata. Non è stato fatto alcun appello e ho chiesto ai suoi avvocati il perché di questa decisione. Loro mi hanno risposto così: «Non ne può più». Nella sua parte finale “V13”, quella riguardante appunto la sentenza, fa una sorta di catalogo dei morti e di valore dei sopravvissuti accendendo una miccia sulla domanda «il mio danno quanto vale?». E qui Carrère spiega: «Per l’indennizzo ci sono alcuni parametri, che si possono considerare anche assurdi. È paradossale infatti che si facciano differenze tra le vittime stesse, ma è così. È una cosa kafkiana. Va detto che in Francia qualsiasi fondo di assicurazione ha ora un 2% destinato alle vittime del terrorismo». «Per 9 mesi ho fatto parte di una comunità e non mi succede spesso di sentirmi un individuo che vive in comunità. Al termine del processo abbiamo trascorso tutti una sera insieme, si respirava una sorta di euforia, quella di una comunità che sapeva di avere vissuto qualcosa di straordinario. In quei 9 mesi l’io si è fuso con il noi, ed io che non amo il collettivo, sono stato felice di avere fatto parte di una comunità». Di Margherita Bordino

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