I social e la cruda testimonianza della guerra
La doppia faccia dei social network in questo conflitto: da un lato servono a comprendere gli orrori della guerra, dall’altro rinsaldano gli animi del popolo ucraino che tramite tweet e stories rafforza il proprio patriottismo.
| Editoria
I social e la cruda testimonianza della guerra
La doppia faccia dei social network in questo conflitto: da un lato servono a comprendere gli orrori della guerra, dall’altro rinsaldano gli animi del popolo ucraino che tramite tweet e stories rafforza il proprio patriottismo.
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I social e la cruda testimonianza della guerra
La doppia faccia dei social network in questo conflitto: da un lato servono a comprendere gli orrori della guerra, dall’altro rinsaldano gli animi del popolo ucraino che tramite tweet e stories rafforza il proprio patriottismo.
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La doppia faccia dei social network in questo conflitto: da un lato servono a comprendere gli orrori della guerra, dall’altro rinsaldano gli animi del popolo ucraino che tramite tweet e stories rafforza il proprio patriottismo.
Missili, urla, bombe e sangue visti direttamente sui nostri smartphone, senza nessun filtro. I social ci mostrano la cruda realtà della guerra. Siamo abituati a concepire la guerra come qualcosa di lontano. C’è, ma non ci tocca, né ci fa sentire in pericolo. L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, invece, porta la guerra dentro i nostri confini europei, ci ricorda che l’orrore esiste.
Ancor più della vicinanza geografica, però, c’è un altro fattore che ci mette di fronte alla cruda realtà: i social media. Sono centinaia le testimonianze della guerra che, dall’inizio del conflitto, si parano davanti ai nostri occhi. Persone impaurite che chiedono aiuto sullo sfondo delle macerie, vittime innocenti con gli occhi sbarrati e persi nel vuoto, missili che volano per aria distruggendo palazzi. Eravamo abituati a vedere certe scene sempre davanti a uno schermo, ma giocando a Call of Duty.
E invece qui non c’è nulla di divertente.
I social media sono inoltre l’unica arma di protesta nelle mani dei giovani russi, contrari al conflitto con i propri fratelli ucraini. In Russia si può protestare solo da soli, chiunque scenda in piazza in gruppo viene arrestato dalle forze di polizia. Per questo i moderni mezzi di comunicazione, difficili da controllare rispetto ai luoghi fisici delle piazze, sono una risorsa preziosa per esternare la loro contrarietà alla guerra e al sangue.
I social sono anche un grande alleato dei militari ucraini che si fanno forza condividendo la loro voglia di resistenza e il loro sacrificio con il resto del mondo. E sono un grande alleato anche del presidente ucraino Zelensky che proprio attraverso i social chiama il popolo alle armi e mostra la sua tenacia al popolo ucraino, dandogli coraggio. Da quando Putin ha riconosciuto le ‘repubbliche del Donbas’, il presidente ucraino ha pubblicato costantemente videomessaggi in tv e sui social, facendo della comunicazione un alleato fondamentale. Ha richiamato concetti di libertà e autodeterminazione, rivolgendosi anche al popolo russo nella loro lingua. Ha anche fatto molta attenzione a distinguere il popolo russo dalle scelte del presidente Vladimir Putin, responsabile della guerra e del sangue.
Non solo video, però: un’importante arma per il presidente ucraino è Twitter. Dall’inizio dell’invasione Zelensky ha pubblicato più di 100 tweet con il duplice obbiettivo di dimostrare l’aiuto ricevuto degli altri Stati e di chiederne di più.
Tutta questa attività ha promosso il senso di appartenenza del popolo ucraino e il sostegno internazionale, fattori che risulteranno decisivi per l’esito del conflitto e delle trattative.
Siamo sempre pronti a criticare i social, rei di allontanarci dalla realtà e dipingere un mondo immaginario, e adesso siamo anche pronti a elogiarli. Perché è indubbiamente un grande merito quello di farci capire in che mondo viviamo. Sarà anche cruda, ma è la realtà e vedere con i nostri occhi quanto sta succedendo è un’opportunità enorme che non avevamo prima. Adesso la guerra ha meno segreti, fa più paura. Ed è giusto così.
di Giovanni Palmisano
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