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Il piacere di non viaggiare

Le vacanze, come le concepiamo, corrispondono all’idea di una partenza, ma c’è una visione alternativa

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Il piacere di non viaggiare

Le vacanze, come le concepiamo, corrispondono all’idea di una partenza, ma c’è una visione alternativa

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Il piacere di non viaggiare

Le vacanze, come le concepiamo, corrispondono all’idea di una partenza, ma c’è una visione alternativa

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Le vacanze, come le concepiamo, corrispondono all’idea di una partenza, ma c’è una visione alternativa

Con le ferie in via di chiusura la saudade per il rientro coincide con la sensazione che tutto si sia concluso troppo in fretta. Così come la concepiamo la vacanza esiste solo dal 1871, con una decisione presa nel Regno Unito con il Bank Holiday Act, una legge che permetteva un breve periodo di ferie della durata di 4 giorni e riservato ai soli dipendenti delle banche. L’interpretazione di cosa rappresentino le ferie per ognuno di noi è cambiata poco nel complesso.

Per questo incuriosisce un breve pamphlet di Giugi Armocida, psichiatra in numerosi ospedali e docente universitario, intitolato “Discorsetto sul piacere di non viaggiare e altre minime confidenze” (Mimesis). Il libricino racchiude un pensiero che esalta il personale appagamento nell’idea di restare nel luogo in cui ci si trova, senza per questo spingersi verso l’accusa di chi il viaggio lo cerca. Tuttavia qualche stilettata verso l’evasione compulsiva c’è. «Io non voglio viaggiare e se mi trovo con gli entusiasti, gli appassionati, i desiderosi del viaggiare, mi succede di sentirmi l’isolata espressione di una fisicità e di una psichicità indolenti e pigre, di un’identità che non vuole andare in giro e non vuole farsi portare in giro» scrive l’autore.

Il ‘discorsetto’ non suggerisce la superfluità del viaggio ma condivide l’alternativa della permanenza nel luogo in cui ci si trova, con una visione alternativa che s’introduce tra le pieghe della coscienza. I consigli passano attraverso le riflessioni di alcuni autori come Francis Galton che con “L’arte di viaggiare” nel 1872 concludeva: «È importante non perseguire ansiosamente una meta, perché si rischia di non godere di un paesaggio, d’osservare le abitudini di vita locali». In realtà è Orazio ad assestare un primo colpo: «Mutano non il loro animo, ma il cielo coloro che vanno per mare», ricordando così che nessuno può sfuggire a sé stesso e anche come la felicità e la serenità dell’animo siano un tesoro interiore e non un privilegio acquisibile grazie soltanto a un viaggio. A chi sembra scontato questo passaggio, l’autore oppone un’ulteriore considerazione fatta da Lawrence Osborne ne “Il turista nudo”, il quale si diceva rammaricato perché non si sa più dove dirigersi per vedere cose ancora sconosciute, in un intero pianeta che sembra una uniforme «installazione turistica». A suo parere è fallita una certa idea di viaggio e ha trionfato il turismo.

Qui s’inserisce un fenomeno legato a influencer che si mostrano in luoghi strepitosi, con foto e video musicali, grazie a smartphone ben accessoriati e utenti social entusiasti. Così vedi una ragazza che una settimana prima è in Venezuela e quella dopo in Egitto, liofilizzando la magia in qualche giorno vissuto intensamente nell’atmosfera del luogo, tra consigli sui migliori ristoranti e sulle spiagge più incantevoli. Il turismo ha inglobato il concetto moderno delle 10 cose da non perdere ma è come se il mondo studiasse storia solo attraverso i bigini e non i libri, come se guardasse i film mandando sempre avanti le sequenze che annoiano e rinunciando al piacere dell’esperienza, che oggi viene dalla sintesi della stessa: come se facendo scalo a New York si potesse concludere convintamente di essere stati negli Usa.

Armocida gioca con l’idea che il viaggio non sia necessario, ma il sottotraccia è che niente può appagarci se non si percorre la propria età senza scavalcarla e si affronta superficialmente il proprio spirito. La vera partenza è quella.

di Lapo De Carlo

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