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Intellettuali laici nel 900′ italiano

Leggere fa bene alla Ragione: oggi vi consigliamo “Intellettuali laici nel ’900 italiano” di Nunzio Dell’Erba. Un libro che analizza il filo conduttore che unisce diverse figure: una forza laica e liberale.
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Intellettuali laici nel 900′ italiano

Leggere fa bene alla Ragione: oggi vi consigliamo “Intellettuali laici nel ’900 italiano” di Nunzio Dell’Erba. Un libro che analizza il filo conduttore che unisce diverse figure: una forza laica e liberale.
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Intellettuali laici nel 900′ italiano

Leggere fa bene alla Ragione: oggi vi consigliamo “Intellettuali laici nel ’900 italiano” di Nunzio Dell’Erba. Un libro che analizza il filo conduttore che unisce diverse figure: una forza laica e liberale.
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Leggere fa bene alla Ragione: oggi vi consigliamo “Intellettuali laici nel ’900 italiano” di Nunzio Dell’Erba. Un libro che analizza il filo conduttore che unisce diverse figure: una forza laica e liberale.
Ciò che unisce le figure, diverse fra loro, che si ritrovano in questo libro, il filo conduttore che le unisce nel loro dividersi, è l’aspirazione all’esistenza di una forza laica, liberale, liberalsocialista o socialista-liberale. Quello sforzo di immaginare una terza forza – distinta dal blocco cattolico e dalla sinistra comunista – che vide nel fallimento del Partito d’Azione la sua smentita e che trovò in quelle e altre personalità la sua vitalità e capacità d’influenzare la storia d’Italia, a dispetto delle propria debolezza organizzativa e politica. L’autore, nato nel catanese nel 1950, è professore presso la Facoltà di Scienze politiche all’Università di Torino. I saggi di cui si compone il libro sono dedicati a Napoleone Colajanni, Gaetano Salvemini, Piero Gobetti, Carlo Rosselli, Aldo Capitini, Guido Calogero, Piero Calamandrei e Norberto Bobbio. Ordinati cronologicamente. Si tratta di intellettuali e combattenti, appunto, non riconducibili a una sola scuola o posizione ma legati da un’idea dell’Italia che è rimasta patrimonio di minoranze culturali, pur segnando importanti presenze politiche e lasciando traccia profonda nella nostra vicenda nazionale. Colajanni e Salvemini, ad esempio, guardarono con simpatia al movimento fascista, che immaginavano essere un fenomeno passeggero, utile a contrapporsi all’espandersi del movimento comunista. Entrambi furono guidati a quella valutazione dalla contrapposizione all’Italia giolittiana. Colajanni morì presto, mentre Salvemini ebbe tempo e modo di correggere radicalmente quell’abbaglio (sia sul fascismo che sul giolittismo, pur non divenendone certo un estimatore). Rosselli improntò del suo socialismo liberale le formazioni partigiane di “Giustizia e Libertà”, essendo egli stesso un organizzatore antifascista e pagando con la vita, ucciso assieme al fratello Nello. Calogero teorizzò il liberalsocialismo, senza l’impronta mistica di Capitini, cui capitò d’essere ricordato, non sempre appropriatamente, per il suo pacifismo. Ciascuno di loro tenne molto alla propria identità e alle distinzioni. Che è un po’ il tributo pagato da uomini e spiriti liberi in quella stagione novecentesca che vide il prevalere dei partiti di massa, inclini più alla disciplina che alle diversità.   di Nunzio Dell’Erba

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