La filosofia Andy Capp
Reg Smythe crea Andy Capp nel 1957 per l’edizione di Manchester del “Daily Mail”, ispirandosi al ricordo dal suo padre assente.
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La filosofia Andy Capp
Reg Smythe crea Andy Capp nel 1957 per l’edizione di Manchester del “Daily Mail”, ispirandosi al ricordo dal suo padre assente.
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Reg Smythe crea Andy Capp nel 1957 per l’edizione di Manchester del “Daily Mail”, ispirandosi al ricordo dal suo padre assente.
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Reg Smythe crea Andy Capp nel 1957 per l’edizione di Manchester del “Daily Mail”, ispirandosi al ricordo dal suo padre assente.
Fino al 1957 la cittadina di Hartlepool, situata sulla costa Est dell’Inghilterra quasi al confine con la Scozia, è famosa soltanto per una storia grottesca risalente alle guerre napoleoniche. Leggenda vuole infatti che un pescatore del luogo, vista una scimmia tra i relitti di un vascello francese naufragato, decida di impiccare l’animale scambiandolo – parbleu! – per un suddito di Bonaparte. Così il soprannome di monkey hangers (impicca scimmie) sembrava destinato a rappresentare in eterno i discendenti di quel geniale misogallico, finché l’editor Hugh Cudlipp non commissiona all’hartlepudlian Reginald Smythe, detto Reg, una nuova striscia a fumetti per l’edizione di Manchester del quotidiano “Daily Mail”.
Reg, già autore di diverse strisce spassose, decide allora di dare ai lettori del Nord un personaggio in cui possano immedesimarsi: Andy Capp. Giocando già dal titolo su un umorismo vagamente ableista, assonato all’incapacità del personaggio di vivere una vita funzionale e produttiva, il fumetto si dimostra un catalogo ironico di tutte quelle scorrettezze che si possono immaginare fra le quattro mura d’una casa di provincia.
Andy è un disoccupato perdigiorno, donnaiolo, fumatore incallito e bevitore compulsivo di birra la cui unica attività fisica accettabile è il gioco delle freccette, immancabili in ogni pub inglese. Non si sa bene come, è però riuscito a sposare Florrie detta Flo: una donna con abbastanza sale in zucca da salvare un po’ di bilancio familiare, senza però averne abbastanza per lasciare suo marito. Il risultato di questa accoppiata è la cronaca del loro rapporto conflittuale, all’inizio persino violento ma in seguito contraddistinto piuttosto da fulminanti scambi di battute sottolineati, nell’ultima vignetta, da eloquenti sguardi verso il lettore utili di volta in volta a trasmettere un soddisfatto “visto come lo conosco?” oppure, in contrasto, per somatizzare l’incasso di un touché.
Nel menefreghismo serafico di Andy, temperato dalle sconfitte contro lo stringente pragmatismo di Flo, l’uomo della working class trova così un eroe catartico che ha deciso di rinunciare a ogni ambizione per vivere felice nel suo nulla come un vero asceta, orgoglioso di poltrire sul divano ben prima che i lockdown da pandemia lo rendessero un atto eroico. “Less is more” è quindi la massima assoluta del fumetto di Smyth: dalle tasche sempre vuote del suo personaggio alla scelta di un’impostazione grafica asciutta con ambienti poveri di sfondi e inquadrati spesso tenendo i personaggi a bordo vignetta, fino alla stessa condizione umana dei protagonisti, perfetti difensori dell’“io minimo” formulato due decenni dopo da Christopher Lasch.
L’efficacia narrativa non stupisce: d’altronde il capolavoro di Reg è un’opera sentita e molto vicina al suo vissuto. Sappiamo infatti che Flo è ispirata a sua madre Florence, mentre l’ultima volta che Reginald Smythe vede suo padre è per una sfida a biliardo ‘perdipaga’: dopo la vittoria il papà si congeda semplicemente con un «Ci siamo visti poco ultimamente. Abbi cura di te», e così lo possiamo immaginare uscire dalla vita reale di suo figlio per rientrare in quella letteraria con un berretto floscio calato sugli occhi e la sigaretta appesa alle labbra, dinoccolato e menefreghista come Andy Capp.
di Camillo Bosco
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