La lunga cavalcata di Lucky Luke
È il 1946 quando Maurice de Bévère pubblica la prima storia del suo cowboy Lucky Luke sulla rivista fumettistica “Spirou”, accompagnandolo da un cavallo parlante chiamato Jolly Jumper, “il cavallo più veloce del West”.
| Editoria
La lunga cavalcata di Lucky Luke
È il 1946 quando Maurice de Bévère pubblica la prima storia del suo cowboy Lucky Luke sulla rivista fumettistica “Spirou”, accompagnandolo da un cavallo parlante chiamato Jolly Jumper, “il cavallo più veloce del West”.
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La lunga cavalcata di Lucky Luke
È il 1946 quando Maurice de Bévère pubblica la prima storia del suo cowboy Lucky Luke sulla rivista fumettistica “Spirou”, accompagnandolo da un cavallo parlante chiamato Jolly Jumper, “il cavallo più veloce del West”.
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È il 1946 quando Maurice de Bévère pubblica la prima storia del suo cowboy Lucky Luke sulla rivista fumettistica “Spirou”, accompagnandolo da un cavallo parlante chiamato Jolly Jumper, “il cavallo più veloce del West”.
È il 1946 quando il belga Maurice de Bévère pubblica la prima storia del suo cowboy Lucky Luke sulla rivista fumettistica “Spirou” con lo pseudonimo di Morris (che userà per tutta la carriera) e lo fa accompagnare da un cavallo parlante – anche se intellegibile solo per il lettore – chiamato Jolly Jumper. Se Luke è “l’uomo capace di sparare più velocemente della sua ombra” allora il fido Jumper è sicuramente “il cavallo più veloce del West”, ma non solo: discetta regolarmente di filosofia e ama citare i versi del poeta Sully Prudhomme.
A chi glielo chiede, de Bévère confessa che l’idea per il suo fumetto gliel’ha data la sua padrona di casa. Nel secondo dopoguerra abita infatti in un bugigattolo a Bruxelles dove ogni sera si sorbisce il lamento canoro della signora, che canta sospirosa “Seule ce soir” (“Sola questa notte”) di Léo Marjane; con un bel volo pindarico, se la immagina invece a canticchiare, con abbigliamento adeguato e fisico maschile, “I’m a lonesome cowboy”, gran classico di quel mood western che lo affascina da sempre. Il ciuffo di capelli e il mento prognato della signora conferiscono a quel punto i dettagli alla faccia del pistolero, mentre i denti gialli e le sue gambe arcuate finiscono addirittura per caratterizzare l’erudito quadrupede. La teoria dell’umorismo di Pirandello è quindi confermata in pieno: dall’osservazione irriflessa di una brutta e vecchia zitella nasce uno dei più divertenti fumetti della storia belga, se non mondiale.
Lucky Luke parte subito come un western decisamente rispettoso delle atmosfere e dei cliché sia narrativi che estetici del genere, con l’unica licenza di far morire dalle risate chi lo legge: Luke affronta avversari imbecilli fino al midollo, ma che il nostro fronteggia comunque con serissime pallottole di piombo che portano a una fine rapida e senza cerimonie qualsiasi malfattore che voglia contravvenire alla legge. Una spietatezza probabilmente eccessiva che porta le storie di Morris ad avere frequenti problemi con la censura, in quel periodo regolata in Francia da una legge del 1949 molto attenta a cosa potrebbe finire sotto gli occhi dei più piccoli. L’editore piazza addirittura un censore fisso – pardon, un ‘consulente religioso’ – in redazione: il gesuita Philippe Sonnet, che in una delle sue tante ‘consulenze’ esaspera il fumettista fino a fargli rifare una copertina per ben cinque volte.
Non sono soltanto i gesuiti a criticare le comiche ma implacabili ammazzatine: nel 1955 è il papà di Asterix, lo sceneggiatore René Goscinny, che gli rimprovera lo sterminio degli spassosi fratelli Dalton già nel dodicesimo albo. Ed è proprio grazie a questa critica bonaria che nasce il sodalizio tra Morris e Goscinny, che durerà fino alla morte del secondo, nel 1977: il risultato di questa ventennale collaborazione sono cinquanta volumi esemplari, dove René affina l’umorismo della serie e resuscita persino i Dalton, inventandosi dei cugini gemelli pronti a vendicare i familiari dipartiti perseguitando Luke con le loro malevoli e improbabili buffonate.
Nel 2001 anche Morris ha raggiunto Goscinny, lasciando però disposizioni perché le spassose cavalcate del suo eroe continuino: così ancora oggi, grazie ad Achdé e altri professionisti, Lucky Luke si allontana verso il tramonto in sella al fido Jumper, cantando «I’m a poor lonesome cowboy… far away from home…».
Di Camillo Bosco
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