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Alessandro Manzoni

La vita oltre le opere 1/2

Quest’anno ricorrono i 150 anni di Manzoni. Nonostante i meriti del personaggio, la studiosa Ginzburg mostra i lati inediti del noto scrittore
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Fiumi di inchiostro hanno scandagliato vita, morte e miracoli (letterari) di Alessandro Manzoni. Una ricerca rinvigorita ora dall’anniversario della scomparsa – 150 anni proprio ieri – a cui ha partecipato anche il capo dello Stato Mattarella, che a Milano ha fatto visita alla tomba e poi alla sua casa-museo. In queste occasioni viene spontaneo mettere in luce i meriti del personaggio, che sono moltissimi anche se qualche studente avrebbe da obiettare, ma è noto come l’esistenza del poeta sia stata segnata anche da alcune ombre. Per quasi tutta la sua lunga vita (la morte arrivò a 88 anni, un record per l’epoca) Manzoni fu soggetto ad attacchi di panico e crisi di nervi. Soffriva di agorafobia, temeva anche i tuoni e persino le pozzanghere. Era ipocondriaco e ne aveva tutte le ragioni, dato che la sua numerosa famiglia venne falcidiata dalle malattie. Dei 10 figli avuti dalla moglie Enrichetta Blondel – nell’ambito di un matrimonio combinato (ma riuscito) dalla madre di lui, Giulia, figlia del Cesare Beccaria autore de “Dei delitti e delle pene”– soltanto due gli sopravvissero.

Un supplizio che lo condannò a un isolamento emotivo in contrasto con la notorietà di cui godeva. Chi forse meglio di altri ne ricostruì i complessi rapporti umani fu Natalia Ginzburg nel romanzo biografico “La famiglia Manzoni”. La studiosa mostra un lato inedito dell’uomo, basandosi su una fitta raccolta epistolare che ne evidenzia anche i
deficit emotivi. Ne viene fuori un carattere moderno, ma più che altro per i suoi scorci lunatici. Anche la moglie Enrichetta morì giovane. A condannarla furono le tante gravidanze, che le fecero contrarre una tubercolosi intestinale. Era già molto malata quando rimase incinta di nuovo. Un uomo dall’intelligenza straordinaria quale il Manzoni doveva e poteva immaginare che così tanti parti l’avrebbero condannata (la donna aveva sempre avuto una salute molto cagionevole). Leggendo l’opera della Ginzburg, un altro paio di episodi lasciano l’amaro in bocca.

 Ormai vicina alla morte, la figlia Matilde chiese al padre un’ultima visita a Firenze, dove viveva, ma il Manzoni non ci andrà mai. Non tese nemmeno la mano al figlio Filippo che, caduto in disgrazia a causa della sua propensione al gioco, gli chiese un aiuto economico per sfamare i figli e ricevette un no irremovibile. Anche Filippo morì in povertà e con questi nipoti il Manzoni non ebbe praticamente mai nessun rapporto, ‘colpevoli’ com’erano ai suoi occhi di essere i figli di una ballerina.

Di Ilaria Cuzzolin

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