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L’Afghanistan nei fumetti di Attilio Micheluzzi

Una crudele storia morale che il tempo non rende meno attuale
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L’Afghanistan nei fumetti di Attilio Micheluzzi

Una crudele storia morale che il tempo non rende meno attuale
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L’Afghanistan nei fumetti di Attilio Micheluzzi

Una crudele storia morale che il tempo non rende meno attuale
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Una crudele storia morale che il tempo non rende meno attuale
Ora che un ventennio volge al termine, con la caduta di Kabul in mani talebane, un altro governo lascia il passo alla storia; ma prima di attirare le ire statunitensi, tanti altri titani si sono scontrati con quelle montagne e con le persone che li abitano: l’impero persiano achemenide, l’impero macedone di Alessandro Magno, l’impero indiano, quello inglese, fino all’Unione sovietica. Un elenco incredibile che ha fatto giustamente guadagnare all’Afghanistan il titolo di ‘tomba degli imperi’. Il compianto maestro del fumetto Attilio Micheluzzi dedicò a quel Paese e all’occupazione sovietica (1979-1989) un romanzo a fumetti, chiamato laconicamente “Afghanistan”, pubblicato postumo e incompleto nel 1991 sul lato dei disegni ma che possiamo considerare però compiuto ed esemplare sotto il profilo del disvelamento della poetica che animava la vis narrativa dell’istriano naturalizzato napoletano. Pubblicato due anni dopo il disimpegno sovietico dell’Afghanistan, probabilmente la storia rappresentò anche una catarsi biografica, visto che lo stesso Micheluzzi fu protagonista di un’altra caotica ritirata: quella dalla Libia. Trasferitosi infatti dalla nativa Istria a Napoli, sia perché non più italiana sia per laurearsi in architettura, fino al 1969 lavorò in diversi Stati africani per approdare infine in Libia, pronto a prendere servizio come architetto di corte del re Idrīs. Il colpo di Stato militare del colonnello al-Qadhdhāfī sancì però l’esproprio di tutti i beni degli ebrei e degli italiani presenti in Libia e quindi non gli rimase che abbandonare il Paese. La Libia perse così il suo architetto reale, ma l’Italia guadagnò un notevolissimo fumettista al quale è giustamente tributato il premio più importante del Comicon, la fiera di fumetto della città partenopea. “Afghanistan” fu quindi l’ultima opera della sua breve ma fulgida carriera, stroncata a soli sessant’anni: racconta la breve ma movimentata esperienza afghana di Vasili, uno spetsnaz russo, la cui vita si intreccia con quella di Saïd, un giovane pashtun, reso orfano dai bombardamenti. La storia si evolve parallelamente, mostrando a Vasili la disillusione dei soldati veterani russi che non credono più alla propaganda sovietica, mentre il ragazzo vive in prima persona gli intrighi che si sviluppano tra le fazioni dei mujaheddin in esilio in Pakistan, sventando un attentato organizzato da spie russe e così finalmente venendo ammesso tra i ranghi dei combattenti pronto a soddisfare la sua sete di vendetta. Nel frattempo l’unità di Vasili, in procinto di preparare un’imboscata, cade a sua volta in un agguato dei guerriglieri, che per pura fortuna lascia solo lui vivo. Rimasto senza risorse, vaga per le montagne finché non riesce ad aggredire un altro gruppo di mujaheddin per impossessarsi di qualche provvista: caso vuole che sia proprio l’unità del giovane Said che reagisce, catturandolo. Ma durante una sosta il giovane si addormenta e viene immediatamente ucciso dal russo, che si allontana con l’obiettivo di rimettersi in contatto col comando. Un elicottero sovietico finalmente sorvola l’area e Vasili riesce ad attirare l’attenzione dei piloti che però, temendo una trappola dei guerriglieri, falciano il militare scambiandolo per un’esca, in un finale cupo in cui lo stesso autore, che spesso ha interagito direttamente con i suoi personaggi, sottolinea lo strazio e la vacuità dello scontro che, a ripetersi, non può che portare all’annientamento delle individualità che lo combattono. Speriamo che ora, col disimpegno delle truppe Nato, questa sia una storia che non dovrà più essere raccontata da nessuno, anche se in cuor nostro già ne dubitiamo fortemente.   di Camillo Bosco

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