Nelle librerie l’opera postuma di Luigi Ghirri, il fotografo dei luoghi
“Niente di antico sotto il sole” è la raccolta postuma di scritti e interviste di Luigi Ghirri, uno dei fotografi più importanti del Novecento che ci lascia ancora oggi orfani di un mondo che diventa reale solo se riusciamo a fermarlo
| Editoria
Nelle librerie l’opera postuma di Luigi Ghirri, il fotografo dei luoghi
“Niente di antico sotto il sole” è la raccolta postuma di scritti e interviste di Luigi Ghirri, uno dei fotografi più importanti del Novecento che ci lascia ancora oggi orfani di un mondo che diventa reale solo se riusciamo a fermarlo
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Nelle librerie l’opera postuma di Luigi Ghirri, il fotografo dei luoghi
“Niente di antico sotto il sole” è la raccolta postuma di scritti e interviste di Luigi Ghirri, uno dei fotografi più importanti del Novecento che ci lascia ancora oggi orfani di un mondo che diventa reale solo se riusciamo a fermarlo
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“Niente di antico sotto il sole” è la raccolta postuma di scritti e interviste di Luigi Ghirri, uno dei fotografi più importanti del Novecento che ci lascia ancora oggi orfani di un mondo che diventa reale solo se riusciamo a fermarlo
Sono passati già 29 anni dalla morte di Luigi Ghirri eppure la sua impronta in ambito visivo e culturale è sempre qui, a far da guida ai suoi eredi (o emulatori) della fotografia contemporanea.
Si assiste ad un ritorno della filosofia visiva di Ghirri soprattutto fra i più giovani e non soltanto fra gli appassionati di fotografia. Questo accade perché Ghirri era molto più che un fotografo e il tour promozionale del suo ultimo libro di scritti ed interviste “Niente di antico sotto il sole” ne è testimonianza.
Un libro che, come si legge già nella prefazione del saggista e curatore fotografico Francesco Zanot, rappresenta “una particolare forma di autobiografia. […] non prevede mai di fornire una spiegazione didascalica e definitiva al suo lavoro, ma si concentra sulle motivazioni che lo hanno spinto ad agire in un certo modo. È come se accompagnasse i suoi osservatori fino alla soglia della visione, senza lesinare energie e parole, per poi fare un passo indietro e ritirarsi”.
Già nel 1982 venne presentato, in una mostra collettiva a Colonia, come uno dei fotografi più significativi del XX secolo. Come dargli torto?
L’amore per la fotografia
Luigi Ghirri nasce a Scandiano, piccolo paese alle porte di Reggio Emilia, nel 1943. Sviluppa la sua personalità in un clima di fermento post-bellico, di ripresa economica e di progresso ma restando ancorato (e lo sarà per tutta la sua vita) alla sua Emilia e alla provincia, come a voler restituire alla quella terra tutto ciò che essa gli ha dato, con amore ed entusiasmo. Nel 1969 qualcosa scuote l’anima di Ghirri: l’immagine della Terra fotografata dalla navicella spaziale in viaggio verso la Luna. La prima fotografia del mondo che lo rende, così, riconoscibile e fisso nell’immaginario collettivo. Parte da qui lo sviluppo di un suo concetto fondamentale e cioè la fotografia come mezzo e non come fine. Mezzo di riconoscimento e di conferimento di senso, perché il mondo non esiste senza immagini che lo rappresentano e le fotografie, dunque, aiutano a formalizzare una memoria collettiva.Fotografo di luoghi e non di paesaggio
Da molti ancora considerato erroneamente un “fotografo di paesaggio” (per la sua formazione da geometra ed il suo interesse verso l’architettura urbana) è in realtà più propriamente un fotografo di luoghi e contemporaneamente non-luoghi. Costantemente legato alla sua terra emiliana, alle province e territori privi di consistenza artistica o culturale, viaggiava poco, eccetto qualche viaggio in Europa ed America. La sua sete di curiosità trovava sollievo a pochi passi attraverso vetrine, insegne, muri o addirittura fra le quattro mura di casa. Dal 1970 prenderanno corpo diverse serie basate su questa filosofia, prime fra tutte “Vedute” e “Italia aliati” così come la più celebre serie poi divenuta volume “Kodachrome”; quest’ultimo diventato a tal punto un’ossessione per i collezionisti da essere ritornato in stampa nel 2018 grazie all’editore inglese MACK che per realizzarlo si è recato a Modena dallo stampatore Arrigo Ghi per ritrovare, insieme a lui, il tono originale delle immagini. Il principale merito di Ghirri alla fotografia italiana contemporanea è quello di aver dato voce a luoghi, oggetti, cose che, nel turbinio dell’era moderna sarebbero andati altrimenti perduti. La sua era una curiosità fanciullesca e trasversale verso la vita, lontana dagli schemi rigidi degli ismi contemporanei: nulla è antico se viene fermato nella nostra mente ed è proprio grazie alle immagini (e quindi al linguaggio fotografico scelto da Ghirri) che possiamo abitare il mondo. Una filosofia alla base del triangolo della semiotica costituito da significato-significante-osservante. Per questo Ghirri non può essere considerato un mero fotografo ma un cultore del nostro tempo.Ghirri: il fotografo che portò l’Emilia nel mondo
Inoltre a Ghirri và dato il merito, grazie alla sua sensibilità, di aver dato nuova linfa e luce ai luoghi dell’Italia, in particolar modo alla sua Emilia diventata ormai nell’immaginario collettivo “quella delle fotografie di Ghirri”: rassicurante, genuina, a tratti malinconica e spaesante. Daniele De Lonti, docente di fotografia in Naba e spalla di Ghirri per buona parte della sua vita, parla dell’eredità di Ghirri presente soprattutto in questo stato di costante tensione verso l’approfondimento per cui andare sempre a scavare anziché farsi attirare dalle sirene della superficie. È un paradosso: la fotografia ha a che fare soprattutto con superficie ed apparenze ma è anche una sfida che Ghirri ha saputo affrontare per andare a grattare la superficie delle cose fino alla morte, nel 1992. “Ho cercato nel gesto di guardare il primo passo nel cercare di comprendere”. Tutte le foto provengono dall’Archivio Luigi Ghirri.La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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Tag: Arte, fotografia
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