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Comin la parola ai comunicatori

“Nessuno difende chi non si difende”, parola del comunicatore Comin

Viaggio nel mondo dei top comunicatori. Perché di mala comunicazione si può anche morire. Intervista a Gianluca Comin, presidente di Comin&Partners
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“Nessuno difende chi non si difende”, parola del comunicatore Comin

Viaggio nel mondo dei top comunicatori. Perché di mala comunicazione si può anche morire. Intervista a Gianluca Comin, presidente di Comin&Partners
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“Nessuno difende chi non si difende”, parola del comunicatore Comin

Viaggio nel mondo dei top comunicatori. Perché di mala comunicazione si può anche morire. Intervista a Gianluca Comin, presidente di Comin&Partners
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Viaggio nel mondo dei top comunicatori. Perché di mala comunicazione si può anche morire. Intervista a Gianluca Comin, presidente di Comin&Partners
Far crescere la reputazione del top management, supportare la costruzione di opere infrastrutturali, affrontare e vincere sfide finanziarie, gestire crisi di comunicazione. Di questo e molto altro si occupa l’agenzia Comin&Partners fondata nel 2014 da Gianluca Comin e divenuta in poco tempo un punto di riferimento della comunicazione integrata di aziende pubbliche e private. Classe 1963, nato a Udine ma cresciuto a Venezia, ha mosso i primi passi nel giornalismo, a Il Gazzettino, come redattore economico e parlamentare. Uno step che gli è servito poi a fare il grande salto nel campo della comunicazione a tutto a tondo: Telecom Italia ed Enel nel suo cammino e una parentesi come portavoce del Ministro del Lavoro sotto il governo Prodi. Docente universitario di “Strategie di Comunicazione alla facoltà di Economia  presso la Luiss “Guido Carli”, il suo ultimo libro si intitola  “Tu puoi cambiare il mondo. La reputazione personale: promuovere il talento, condividere il valore”, edito da Marsilio, 2021.   Comin, che direzione sta prendendo la comunicazione?  Rispetto ad alcuni anni fa la situazione è molto migliorata e sono fortemente ottimista. Quando iniziai a lavorare, fare comunicazione voleva dire soprattutto relazionarsi con i giornalisti e realizzare buone campagne pubblicitarie. Oggi, invece, un comunicatore ha a disposizione molti strumenti sofisticati. Si pensi, ad esempio, all’intelligenza artificiale e ai social network.    Le possibilità sono aumentate ma è anche vero che serve maggior controllo, soprattutto nel mondo dei social La professione, proprio per questo, si è molto evoluta. Un tempo la figura professionale più classica era quella del giornalista che poi diventava anche comunicatore. Oggi il mercato vuole sempre più capacità e professionalità nell’uso di tools e di sistemi di monitoraggio. La complessità della strumentazione a disposizione del comunicatore richiede ben più della semplice comprensione della notizia. Bisogna conoscere e capire il sentiment delle persone.    Come si gestisce un attacco negativo sui social, quelli da migliaia di commenti? Di solito queste ondate passano, ma rimangono sulla rete. Quando non esistevano i social si diceva che dare una smentita era come dare una notizia due volte. Oggi proprio perché un’informazione non corretta resta in rete in modo permanente è fondamentale rispondere correttamente e con stile. Secondo elemento da tenere in considerazione è che nessuno difende chi non si difende. Se si vuole attivare una contro informazione positiva rispetto agli attacchi negativi della rete è necessario esporsi per primi. Aprire l’ombrello e pensare che smetterà di piovere è la scelta più sbagliata.   E il futuro dell’editoria, come lo vede?  Finché c’è una storia da raccontare, ci sarà sempre un giornalista pronto a raccontarla e un mezzo pronto a ospitarla. Come rendere economicamente vantaggioso un prodotto editoriale dipende da vari fattori molto complessi. Uno su tutti la reputazione del mezzo di informazione. Dall’altro, il tema recente sul diritto d’autore ha aperto una buona soluzione per i giornalisti. È un processo ancora in corso.    La provocazione, i doppi sensi, si pensi all’ultima campagna di Conto Arancio con Elio e le Storie Tese che gioca con l’equivoco della parola “tasso”. La disturbano o la fanno sorridere? Nella pubblicità rimane sempre la necessità di emergere dal rumore di fondo, la stessa campagna con Elio e le Storie Tese ha il merito di farsi notare e attirare attenzione sul marchio. Personalmente ho apprezzato molto la campagna di Eni, con forti contenuti visionari e valoriali, eleganti ed efficaci. L’aspetto da non sottovalutare mai è il tone of voice scelto e apprezzato dagli interlocutori e dagli stakeholder.    Un autogol comunicativo degli ultimi anni che le viene in mente? La campagna di Dolce e Gabbana in Cina sicuramente ha fatto scuola, non riuscendo a tenere in considerazione lo spirito culturale di un Paese diverso dal nostro. Mi ha stupito come un marchio che da sempre vive di analisi culturale e dei gusti delle persone sia caduto in un errore del genere. Capita.    Parliamo ora di comunicazione istituzionale, come giudica la strategia comunicativa della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni? Giorgia Meloni ha una comunicazione molto fresca e diretta, questo sicuramente le ha giovato nel rapporto con gli elettori. Oggi siamo in una nuova fase nella quale da comunicazione elettorale e politica all’opposizione è diventata una comunicazione di governo, quindi istituzionale. In questa nuova fase, forse, può migliorare: Meloni ha mantenuto troppi toni da campagna elettorale e questo confonde un po’ le persone. Quando si parla da Premier si parla a tutti, non solo a una parte. Ci sono momenti in cui si fa politica e altri in cui si fa governo. Questo equilibrio credo che non sia stato ancora perfettamente raggiunto. La vera sfida è la trasformazione da una comunicazione aggressiva tesa alla conquista dei voti a quella istituzionale, di natura più riflessiva, inclusiva, pacata e di spiegazione.    Un politico, invece, totalmente fuori strada? Guardando ai trend, Salvini ha perso un po’ di smalto. Soprattutto nei primi mesi di governo anche lui è rimasto legato a una comunicazione più da opposizione. Credo poi che la comunicazione di Enrico Letta non sia stata ben capita e quando accade bisogna domandarsi dove si è sbagliato.    Il più grande comunicatore di sempre? Di casi ce ne sono tanti. Guardando al mondo finanziario, Carlo Messina, AD di Banca Intesa Sanpaolo ha un’ottima comunicazione, molto misurata, a tono. Nel mondo dello spettacolo avrei citato Totti, fino a quando non è caduto nelle maglie della separazione con la moglie.    E Silvio Berlusconi che ha appena incassato 5 milioni di like su Tik Tok? Silvio Berlusconi ha un grande merito: essersi sempre servito di professionisti. Non segue una comunicazione fai da te. Ha una comunicazione studiata, pensata, elaborata e realizzata con  esperti di primissimo livello. Elemento molto raro nella politica.    Beh però il “camion di t…” alla cena del Monza non è stata un’espressione di massima eleganza. Fa parte del personaggio. Lo ha detto un ultraottantenne. Se lo avesse detto un ragazzo di 30 anni sarebbe stato crocifisso all’altare del politically correct.  È uno scivolone misurato che porta qualche benpensante a protestare e la massa ad applaudirlo.    Le donne fanno sempre più fatica rispetto agli uomini a imporsi nel mondo del lavoro, soprattutto a livello dirigenziale. Che suggerimento darebbe loro in termini di reputation?  In molti casi alcune donne non parlano finché non sanno tutto quello di cui si deve parlare. Molti uomini, spesso, si buttano anche se non sanno nulla. Le donne, per loro natura sono perfezioniste. A volte servirebbe un po’ più di superficialità   Pochi giorni fa lei ha rassegnato le sue dimissioni dalla Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche Italiane). Qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso? Il mio periodo di past president è sempre stato poco invasivo. Mi sono mostrato sempre pronto a seguire, partecipare, mettendo a disposizione la mia esperienza, con un passo indietro rispetto alle presidenze che si sono susseguite dopo la mia. Quando questa primavera ho visto che l’associazione si stava avvitando in uno scontro unico nella sua storia e che la presidenza non era stata in grado di governare questo scontro in modo unito e condiviso ho cercato di intervenire assieme ad altri autorevoli colleghi. La presidenza del consiglio nazionale aveva incaricato me e altri colleghi a costituire un comitato incaricato dal consiglio per valutare che le regole elettive della Ferpi fossero effettivamente al pari con i tempi o se questo scontro nascesse da incongruenze interne alle regole dell’associazione. A due settimane dall’insediamento la presidenza ha fatto partire la campagna elettorale, rendendo il nostro lavoro completamente inutile. Ci siamo dimessi tutti dal comitato e nelle settimane successive ho maturato l’idea che la Ferpi non fosse più l’associazione che mi rappresentava. Per questo ho dato le dimissioni. La mia lettera era stata inviata in forma riservata alla presidenza e al consiglio. Alla terza telefonata di esterni che avevano letto la mia lettera mi sono convinto a renderla pubblica. Sono consapevole che questo ha creato molto rumore, forse servirà a riflettere (pochi giorni fa è stato eletto il nuovo presidente Ferpi Filippo Nani ndr).

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