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Calcio femminile

“Perché le ragazze devono imparare a correre dietro un pallone?”. Parla l’autrice

Da luglio la calciatrice sarà una vera professione a norma di legge. Nel suo libro “Gameday, perché le ragazze devono imparare a correre dietro un pallone”, Monica D’Ascenzo usa lo sport come metafora della vita. È molto più di un gioco.
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“Perché le ragazze devono imparare a correre dietro un pallone?”. Parla l’autrice

Da luglio la calciatrice sarà una vera professione a norma di legge. Nel suo libro “Gameday, perché le ragazze devono imparare a correre dietro un pallone”, Monica D’Ascenzo usa lo sport come metafora della vita. È molto più di un gioco.
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“Perché le ragazze devono imparare a correre dietro un pallone?”. Parla l’autrice

Da luglio la calciatrice sarà una vera professione a norma di legge. Nel suo libro “Gameday, perché le ragazze devono imparare a correre dietro un pallone”, Monica D’Ascenzo usa lo sport come metafora della vita. È molto più di un gioco.
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Da luglio la calciatrice sarà una vera professione a norma di legge. Nel suo libro “Gameday, perché le ragazze devono imparare a correre dietro un pallone”, Monica D’Ascenzo usa lo sport come metafora della vita. È molto più di un gioco.
È ufficiale la Federazione italiana giuoco calcio (FIGC) ha deciso che dal primo luglio la Serie A diventerà un torneo professionistico anche per le calciatrici, riconoscendo così la loro professione a tutti gli effetti a norma di legge. Il punto di svolta che ha spinto il presidente della FIGC, Gabriele Gravina, a lavorare per effettuare questo passaggio, è stato senza dubbio il successo dei Mondiali in Francia nel 2019, quando la Nazionale femminile è arrivata ai quarti di finale. Un traguardo raggiunto dalle calciatrici grazie al lavoro di un’altra donna: a costruire quella squadra è stata infatti Milena Bertolini, commissaria tecnica della Nazionale italiana femminile di calcio dal 2017. Proprio quest’ultima è una delle protagoniste del libro  “Gameday – Perché le ragazze devono imparare a correre dietro un pallone?” di Monica D’Ascenzo, scrittrice e giornalista de “Il Sole 24 Ore” e responsabile di Alley Oop. Secondo la scrittrice lo sport è in grado di sviluppare dei superpoteri che ci fanno affrontare in maniera diversa le sfide che la vita ci pone. Purtroppo in Italia non lo si capisce ancora appieno e la scuola dovrebbe rendere democratiche le occasioni e le opportunità per la crescita di quelli che saranno i cittadini di domani.  Cosa dovrebbe fare la scuola? “Sarebbe necessario che mettesse a disposizione la possibilità di sviluppare competenze sportive a tutti perché far giocare insieme bambini e bambine fa sì che si sviluppino delle relazioni tra i sessi più paritarie, di rispetto e di equilibrio. Giocando si impara così una cultura paritaria”.  Come mai hai scelto di inserire anche testimonianze maschili in un libro dedicato solo alle donne?  “Perché le competenze non hanno genere. Siamo persone e impariamo da coloro che incontriamo indipendentemente dal sesso. Il titolo è al femminile perché le ragazze e le bambine in questo momento si stanno escludendo da una fetta di sapere, un sapere non scolastico ma emotivo, psicologico e di competenze, dalle opportunità di crescita e lezioni per la vita”. Perché insisti tanto sul concetto di fare squadra, nello sport così nella vita? “Tutti noi facciamo parte di più squadre nella nostra vita, con i colleghi, con i familiari, ed è fondamentale perché siamo animali sociali. Imparare a fare squadra è come imparare una lingua: prima la si interiorizza, prima si vedono i frutti che questa ha in ogni aspetto della vita del singolo”.   Si parla tanto di coach ultimamente, perché è così importante questa figura?  “Ognuno di noi è il coach di qualcun altro. Dovremmo avere la consapevolezza di quanto una nostra parola possa incidere sulle scelte e sulla formazione di altre persone. Questo ci rende attori protagonisti nello sviluppo della società. Non c’è bisogno di essere allenatori di una squadra ma ognuno di noi può essere l’allenatore di qualcun altro, in momenti diversi della sua vita”.  Del libro colpisce anche la prefazione a cura di Alessandro Benetton, che sottolinea non solo l’importanza del tempo perché “Nessun successo è immediato”, ma anche del fallimento “I più grandi vincenti della storia dello sport sono quelli che hanno più perso” scrive. Fallire è quindi una vittoria. Una filosofia che in Italia dobbiamo ancora apprendere: vedere gli errori non come qualcosa di negativo ma una risorsa preziosa per crescere.  “Nella cultura americana questo è già normalità – racconta D’Ascenzo – ed è normale la ripartenza. Da noi invece il fallimento è visto come un bollino nero. Purtroppo già a scuola l’errore viene stigmatizzato, in Italia c’è molta strada da fare ed è questo che blocca l’innovazione. L’averci provato, aver capito cosa non funziona fa sì che la volta successiva sei in grado di non fare lo stesso errore. Lo sport ti insegna a sfidare i tuoi limiti, ti insegna quanta capacità di crescita hai e se questo viene traslato nelle sfide della vita di tutti i giorni, ecco che lì diventa un super potere”. di Claudia Burgio

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