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Rossella Rosciano di MiRò

Rossella Rosciano di MiRò: “Le PR sono come un’opera di Seurat”

Rossella Rosciano, CEO&Founder di MiRò Comunicazione, ci racconta l’efficienza del mondo delle PR aggiungendo un pizzico di arte e tanta passione
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Rossella Rosciano di MiRò: “Le PR sono come un’opera di Seurat”

Rossella Rosciano, CEO&Founder di MiRò Comunicazione, ci racconta l’efficienza del mondo delle PR aggiungendo un pizzico di arte e tanta passione
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Rossella Rosciano di MiRò: “Le PR sono come un’opera di Seurat”

Rossella Rosciano, CEO&Founder di MiRò Comunicazione, ci racconta l’efficienza del mondo delle PR aggiungendo un pizzico di arte e tanta passione
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Rossella Rosciano, CEO&Founder di MiRò Comunicazione, ci racconta l’efficienza del mondo delle PR aggiungendo un pizzico di arte e tanta passione
Il motto di MiRò Comunicazione, dalla sua data di fondazione nel 2011, è: “Ci ispiriamo. Lavoriamo. Ci stupiamo”. Non c’è da meravigliarsi dunque che nei suoi oltre 10 anni nel panorama della comunicazione meneghina sia diventato un punto di riferimenti per moltissimi clienti, desiderosi di servizi all’avanguardia e sempre aggiornati, con un team giovane e appassionato. Legami con l’arte? Infiniti, a partire dal nome stesso. Ne abbiamo parlato con Rossella Rosciano, CEO&Founder di MiRò che si definisce, come da bio su sito, “il lato femminile di MiRò, l’ingranaggio senza il quale nulla funzionerebbe”.   Partirei da una panoramica doverosa della storia e degli obiettivi di Mirò comunicazione dalla data di fondazione ad oggi MiRò nasce nel 2011 dalla creatività e dalla voglia di “creare” mia e di Michele Losito. Con Michele ci siamo conosciuti quasi dieci anni prima in una redazione giornalistica proseguendo poi su strade diverse, che spesso si sono intrecciate per collaborazioni editoriali. Poi nel 2011 la decisione di aprire un’agenzia di pubbliche relazioni con un approccio tailor-made. Ritenevo, e ritengo tuttora, che fosse fondamentale proporre un approccio diverso, cioè rendere centrale il ruolo delle pubbliche relazioni come anima strategica della comunicazione di un Cliente e come collante con le altre agenzie marcomm (advertising, media, some…). Come racconto anche ai miei studenti in Università, le PR sono come un’opera di Seurat. Forse questo nome non fa subito accendere una lampadina, non è famoso come i suoi “amici” Degas, Pissarro o altri contemporanei quali Signac o Monet. Tuttavia, Seurat è il puntinista per eccellenza, colui che è riuscito a creare un quadro con minuscoli punti. Il dettaglio che crea il tutto. Le PR sono un po’ così: geniali, uniche, precise al dettaglio per arrivare alla visione di insieme strategica. Questo approccio ha dato i suoi risultati e oggi il team di MiRò è composto da venti persone che collaborano sulle aree press, some e digital solution. Il vostro motto, ben leggibile sul sito, è: “Comunicare è la nostra passione…anche nel mondo 2.0”. Può spiegarci meglio cosa s’intende? Probabilmente oggi dovremmo cambiare il nostro motto e abbinarlo al mondo del web 3.0 e oltre! La logica di fondo però rimane: in un mondo che cambia velocemente anche la comunicazione deve modificarsi, seguire strategie e dinamiche in mutazione continua. Essere pronta ad accogliere le sfide del futuro integrando nel processo strategico anche gli strumenti tecnologici più recenti – come la AI, o la realtà virtuale – che impongono uno sguardo nuovo verso l’efficienza del nostro lavoro. La tecnologia non sostituirà la persona, ma imporrà un salto evolutivo anche al nostro lavoro di consulenza. Oggi la nostra mission è quella di essere un’agenzia che propone ai Clienti un approccio strategico di primo e secondo livello. Altro elemento fondamentale di MiRò è la trasversalità. Come riuscite a coniugare le diverse esigenze e richieste dei diversi clienti mantenendo saldo il vostro approccio? Questa è la nostra sfida quotidiana! Nel corso degli anni abbiamo costruito un metodo di lavoro e selezionato le persone che potessero seguire la strada segnata quando in agenzia eravamo solo due amici e colleghi con una visione di questo lavoro simile. Alla base di tutto ci deve essere una grande curiosità e desiderio di conoscenza. Questo ci porta a entrare il più velocemente possibile nell’universo del cliente e a capirne le esigenze, che spesso vanno oltre l’output del progetto per come è stato pensato all’inizio. Probabilmente in questo senso mi ha aiutato il non essere “nata” PR. Nel mio percorso lavorativo sono stata sia dalla parte dei media, sia delle aziende che dovevano collaborare con i media. Ho lavorato diversi anni nel ruolo di Product Manager in realtà legate al mondo dell’arte, per poi passare in agenzie di comunicazione o come responsabile interna delle relazioni pubbliche in azienda. L’esperienza che ho fatto mi ha portato a capire il ruolo di mediazione delle Pubbliche Relazioni. Quando ho deciso di aprire l’agenzia avevo perciò salda la convinzione che avrei dovuto integrare alcune competenze ed esternalizzare altre per lasciare spazio alla contaminazione e alla creatività, così come creare una realtà locale ma con una visione internazionale, perché l’Italia attrae l’estero ed è in connessione con tutto il mondo. Può fare degli esempi di campagne social di cui andate maggiormente fieri? Posso farvi un esempio di un’attività che ha sfruttato in modo positivo le potenzialità dei social media, integrandole in una serie di azioni coordinate alla riuscita del progetto di comunicazione del cliente. Una bella campagna social secondo noi va inserita in un progetto più ampio che unisca media relations, SOME e una approfondita analisi strategica e dei dati (pre e post attività). Se devo citare qualche esempio sicuramente il progetto Arthletes per Suzuki Motor Italia, legato alle Olimpiadi 2020, dove abbiamo unito arte e motori sfruttando il concetto di contaminazione di mondi diversi per creare attenzione e riconoscibilità. La massima soddisfazione per noi è stata il riconoscimento come best practices da casa madre giapponese. Una cosa molto difficile da ottenere. Più recentemente, invece, un progetto di analisi del territorio senese ha portato a una commistione tra il lavoro dei social media e quello di analisi, diventando quindi strumento di ricerca e non solo di visibilità. Voi di MiRò siete molto presenti anche nel campo dell’arte, da sempre terreno fertile e difficile per la comunicazione. In che modo vi interfacciate al settore e ai clienti? L’arte è come la moda, una industria relativamente chiusa e complessa, con dinamiche proprie e molto particolari. Sono stata fortunata perché per anni ho lavorato con realtà legate all’arte, da Electa a Skira, e quindi ne ho conosciuto i protagonisti e i piccoli “segreti”. Sicuramente l’arte è in grado di dare valore ai clienti predisposti a creare progetti comuni e sfidanti. In questo senso la sensibilità del nostro team può fare la differenza. È più complicato invece dedicarsi ai clienti che nascono o provengono unicamente dal mondo dell’arte. Il problema in questo secondo caso è la mancanza di fondi (pensiamo solo alle Gallerie d’Arte o ai Musei statali), che impone spesso all’arte e ai suoi operatori una stretta dipendenza dalle amministrazioni pubbliche. Sarebbe auspicabile un cambio di paradigma in questo senso, cosa che abbiamo notato accadere all’estero, dove l’approccio all’arte è forse meno istituzionale ma più efficiente, pratico, semplice. Qual è il vostro approccio ai nuovi strumenti del futuro come NFT, blockchain e IA? NFT, blockchain e AI sono technicalities: vanno usate al meglio e studiate per ottenere il miglior risultato possibile in comunicazione, ma non fanno strategia. Le pubbliche relazioni stanno diventando sempre di più società di consulenza e di strategia di primo e secondo livello, gli strumenti citati sono, appunto, solo strumenti, mezzi – in qualche caso anche molto potenti – per ottenere un risultato. Da un anno circa siamo all’interno di un network di agenzie globale. Quel che abbiamo sperimentato è che all’estero si investe molto di più su questi strumenti. Infine: che direzione sta prendendo la comunicazione del futuro? Cosa verrà inevitabilmente superato e cosa resterà della comunicazione “tradizionale”? La comunicazione seguirà inevitabilmente l’evoluzione dei comportamenti delle persone. Abbiamo verificato, ad esempio, il passaggio repentino agli eventi in forma digitale in occasione del Covid. Oggi si sta tornando con forza agli eventi fisici, o ibridi. Le persone hanno dimostrato di aver superato le paure che ci hanno condizionato negli ultimi due anni. Nascono nuovi social network (pensiamo a Threads), ma in diverse parti del mondo le persone si stanno allontanando dalla vita virtuale, e diventa cool essere fuori dai social. Il futuro della comunicazione, perciò, non ha un percorso lineare, ma sicuramente è strettamente legato alla capacità dei singoli canali di rimanere attraenti per il pubblico e, per chi ci lavora, sostenibili dal punto di vista economico. Al centro delle attività di comunicazione ci sono le persone, non i media o l’innovazione di canale tout court. Tuttavia, il digitale ha mostrato che le persone, con i propri comportamenti, generano dei dati. La capacità di maneggiare e comprendere questi dati sarà probabilmente il tema principale per chi si occupa di comunicazione. Ovviamente per l’agenzia questi sono ambiti di evoluzione e investimento di medio-lungo periodo. Anche perché la sfida sarà quella di far convivere dati e umanesimo. di Raffaela Mercurio

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