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Svetlana Aleksievič e l’orrore della guerra

Il Premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievič ha dato voce alle donne che hanno subito la tragedia della guerra, rimaste a casa mentre i loro cari perdevano la vita per combattere. Oggi i suoi libri tornano tristemente attuali.
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Svetlana Aleksievič e l’orrore della guerra

Il Premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievič ha dato voce alle donne che hanno subito la tragedia della guerra, rimaste a casa mentre i loro cari perdevano la vita per combattere. Oggi i suoi libri tornano tristemente attuali.
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Svetlana Aleksievič e l’orrore della guerra

Il Premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievič ha dato voce alle donne che hanno subito la tragedia della guerra, rimaste a casa mentre i loro cari perdevano la vita per combattere. Oggi i suoi libri tornano tristemente attuali.
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Il Premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievič ha dato voce alle donne che hanno subito la tragedia della guerra, rimaste a casa mentre i loro cari perdevano la vita per combattere. Oggi i suoi libri tornano tristemente attuali.
Svetlana Aleksievič è una scrittrice di madre ucraina e di padre bielorusso. Ha ricevuto nel 2015 il Premio Nobel per la letteratura, come instancabile raccoglitrice di storie e testimonianze sulla guerra. La sua scrittura, che può essere definita polifonica, si distingue per avere raccolto molteplici esperienze di vicende personali. Nella giornata del premio ha pronunciato un discorso con cui ha spiegato le origini dei suoi romanzi, nati dall’attento ascolto delle donne del suo villaggio, che raccontavano dell’amore verso i loro uomini, deceduti durante la guerra e mai ritornati. Per l’occasione Svetlana si è definita “donna-orecchio”, forse in ricordo di Flaubert autoproclamatosi “uomo-penna”: «Mi trasformo sempre più in un solo grande orecchio rivolto senza sosta verso l’altro. Per leggere la sua voce». Nei suoi racconti di guerra le esperienze personali sono tradotte in una ricca scrittura, che si ricollega al modello letterario di Ales´ Adamovic (1927-1994), l’autore bielorusso del romanzo “Io, da un villaggio in fiamme”, narrazione costituita da voci raccolte dalla realtà. Nel primo libro “La guerra non ha un volto di donna” (1985, 2015) la scrittrice descrive la resistenza al nazismo secondo una visione femminile. Racconta infatti la chiamata alle armi delle donne da parte del governo sovietico per sopperire alle perdite subite a causa dell’avanzata delle truppe tedesche. Nel secondo libro “I testimoni” (1985, 2017) sviluppa l’argomento e narra l’invasione nazista della Bielorussia con l’occupazione di Minsk, dove gli eroi ragazzi sono vittime della terribile quotidianità della guerra. Censurato dal regime sovietico per avere raccontato l’evento bellico «attraverso i ricordi e gli occhi dei più piccoli», il libro denuncia la ferinità della guerra come fenomeno primitivo per raggiungere lo scopo di ammazzare e sterminare il nemico. Nel libro “Ragazzi di zinco” (1992) Aleksievič parla della guerra in Afghanistan (1979-1989), di cui denuncia l’orrore dell’occupazione sovietica mediante «voci della vita reale», cioè di donne in attesa di mariti, fidanzati o figli. Da questa pluralità di voci intende così definire «l’immagine di un’intera epoca e delle persone che l’hanno vissuta». Risalta l’esigenza di verità superiore alla patria e allo stile letterario, con la scelta come epigrafe di un pensiero di Dostoevskij, secondo cui «la verità … è più importante della Russia». La posizione dello scrittore è unita a due frasi raccolte da testimonianze sui caduti delle popolazioni coinvolte nella guerra: «Su un carro armato, tracciata con vernice rossa la scritta: “Vendichiamo Malkin”». Subito dopo: «In mezzo alla strada, una giovane afghana, inginocchiata accanto al suo bambino morto, urlava» affranta grida di disperazione. Ieri come oggi, la guerra si risolve così in una fredda e burocratica restituzione delle bare in zinco dei propri cari, ossia di quei “poveri diavoli” che, costretti a partire per combattere, si trovano vittime di un evento estraneo al loro vissuto quotidiano. La lezione, ancora oggi attuale per l’uccisione barbara di bambini innocenti nell’odierna guerra russo-ucraina, riguarda la condanna di ogni azione omicida che non può essere giustificata da «una sola lacrima di bambini». di Nunzio Dell’Erba

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