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Un Mondo che era un mondo
La rivista “Il Mondo”, di Mario Pannunzio, non solo diffuse il pensiero liberale ma assolse anche un importante ruolo di pressione politico – culturale
| Editoria
Un Mondo che era un mondo
La rivista “Il Mondo”, di Mario Pannunzio, non solo diffuse il pensiero liberale ma assolse anche un importante ruolo di pressione politico – culturale
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Un Mondo che era un mondo
La rivista “Il Mondo”, di Mario Pannunzio, non solo diffuse il pensiero liberale ma assolse anche un importante ruolo di pressione politico – culturale
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La rivista “Il Mondo”, di Mario Pannunzio, non solo diffuse il pensiero liberale ma assolse anche un importante ruolo di pressione politico – culturale
Nell’agone politico del secondo dopoguerra la tradizione liberale italiana, pur non riuscendo a compiere uno sforzo politico unitario, ha esercitato una notevole influenza intellettuale. Il pensiero liberale fu diffuso da numerose riviste culturali, fra le quali una delle più influenti fu “Il Mondo” di Mario Pannunzio: una rivista che si ricollegava alla tradizione laica del Risorgimento, all’eredità di Gobetti e Amendola, oltreché al magistero di Croce, Einaudi e Salvemini. Fra il 1949 e il 1966 “Il Mondo” assolse un importante ruolo di pressione politico-culturale: profondamente liberale, eurocentrico e fieramente atlantista, con spiccate note antisovietiche, antifascista e liberista, questo gruppo di intellettuali si fece teoforo di una nuova Italia moderna, in contrapposizione e contraria a qualsiasi richiamo retorico o qualunquista. Grazie al contributo di importanti intellettuali (fra i quali Ernesto Rossi, Ennio Flaiano e un giovane Eugenio Scalfari) questo settimanale fu l’araldo del pensiero politico del liberalismo democratico e proseguì in quello sforzo che gli intellettuali liberaldemocratici, a cavallo delle due guerre, si erano prefissati: legare insieme le ragioni della politica e della cultura. Una cultura che non si identificava in un intellettuale gelosamente recluso nella propria torre d’avorio – indifferente o, peggio, convivente con il sentimento comune – bensì in un intellettuale attivo, critico, integrato nel tessuto sociale e che intendeva la politica come una vocazione, un dovere morale. Questo perché, secondo Pannunzio, non si trattava di scegliere una posizione politica in base a ciò che poteva sembrare il corso della storia, bensì in base alle proprie convinzioni, alle proprie «idee politiche» e alla propria «coscienza morale» che imponevano determinate scelte in un determinato periodo storico.
Secondo lo storico Antonio Cardini, questa esperienza editoriale ha svolto «sulla realtà italiana delle analisi non ispirate dall’obbedienza a ragioni di opportunità ο di convenienza ο da riguardi verso i rapporti di forze esistenti, ma dal perseguimento di quella che veniva ritenuta la verità e la giustizia, secondo una precisa deontologia del mestiere dell’intellettuale e del giornalista». Questo fu il proposito di Pannunzio: dare vita a una rivista che ambisse praticare un giornalismo di idee e non soltanto di fatti.
Il florido dibattito che caratterizzò le pagine del settimanale, grazie anche ai convegni degli “Amici del Mondo”, e di molte altre riviste progressiste del secondo dopoguerra consacrò una effettiva egemonia culturale dell’intellettualità liberale alla quale però non coincise una congrua rappresentanza politica: i liberaldemocratici resteranno una combattiva minoranza.
Di Lorenzo Della Corte
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