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La storia in un cofanetto: nel caveau della Banca d’Italia ci sono ancora i gioielli dei Savoia

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Mentre a Parigi la bellezza è diventata cronaca nera, a Roma è rimasta segreto. Il dibattito giuridico sui gioielli dei Savoia è durato decenni

Savoia

La storia in un cofanetto: nel caveau della Banca d’Italia ci sono ancora i gioielli dei Savoia

Mentre a Parigi la bellezza è diventata cronaca nera, a Roma è rimasta segreto. Il dibattito giuridico sui gioielli dei Savoia è durato decenni

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La storia in un cofanetto: nel caveau della Banca d’Italia ci sono ancora i gioielli dei Savoia

Mentre a Parigi la bellezza è diventata cronaca nera, a Roma è rimasta segreto. Il dibattito giuridico sui gioielli dei Savoia è durato decenni

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Nei giorni scorsi ha fatto scalpore il colpo nella Galerie d’Apollon del Louvre di Parigi, che da secoli custodisce corone e diademi della monarchia francese. Un’azione fulminea, degna della storia dell’arte del crimine: in pochi minuti una banda di ladri esperti ha sottratto otto pezzi di valore inestimabile fra i quali la tiara dell’imperatrice Eugénie, un set di zaffiri di Napoleone III, collier di diamanti e gemme rare. Un furto rapido, quasi chirurgico, che riporta al centro dell’attenzione il fragile equilibrio fra esposizione e custodia, fra luce e segreto. Esposti come simboli di una memoria collettiva, quei gioielli erano visibili, accessibili e proprio per questo vulnerabili.

L’episodio consente una riflessione su un altro tesoro reale che invece, dalle nostre parti, giace da quasi ottant’anni al riparo da ogni sguardo. Il 5 giugno 1946, alla vigilia dell’esilio di Umberto II e della nascita della Repubblica, un cofanetto di pelle nera varcava le porte della Banca d’Italia. A consegnarlo era il marchese Falcone Lucifero, ministro della Real Casa.

Al suo interno oltre 6mila brillanti e 2mila perle: le tiare e i diademi che avevano adornato le regine d’Italia. Sul verbale, una formula controversa: «Gioie di dotazione della Corona del Regno d’Italia, da tenersi a disposizione di chi ne avrà diritto». Da allora quel tesoro è rimasto chiuso nel caveau di via Nazionale. Invisibile. Mai esposto, mai restituito. Solo nel 1976 fu aperto per una verifica, dopo insistenti voci di manomissioni. Bulgari confermò: tutto intatto. Poi di nuovo il silenzio. E con esso il mistero.

Mentre a Parigi la bellezza è diventata cronaca nera, a Roma è rimasta segreto. Due destini opposti per due patrimoni gemelli nella loro simbologia. Il Louvre, con la sua vocazione pubblica, sceglie di mostrare il passato come parte dell’identità nazionale; l’Italia continua invece a custodirlo nell’ombra, come se quel bagliore potesse ancora ferire. Il dibattito giuridico sui gioielli dei Savoia è durato decenni.

Gli eredi sostengono che si tratti di beni personali, depositati solo per sicurezza; lo Stato replica che appartengono alla Corona e dunque alla collettività. Proprio quest’anno il Tribunale di Roma ha chiuso (forse) la disputa: i gioielli restano della Repubblica italiana. Ma il contenzioso, attualmente davanti alla Corte europea, continua a dividere.

Il loro valore è stimato in oltre 300 milioni di euro, ma il peso simbolico è incalcolabile. Ogni pietra è un frammento di storia: la gloria, la caduta, il passaggio dalla monarchia alla repubblica. Eppure l’Italia non ha mai voluto esporre quel tesoro, trasformandolo in un emblema di rimozione. In altri Paesi i gioielli della Corona sono strumenti di memoria, capaci di raccontare la continuità e la trasformazione dello Stato. Qui da noi restano chiusi, come se la loro luce fosse troppo compromettente.

Il furto al Louvre ricorda quanto la visibilità renda fragili i simboli del potere. Ma la segretezza non li rende meno problematici. A Roma il cofanetto dei Savoia continua a dividere un Paese che teme di guardare il proprio passato. Ogni diamante, ogni perla riflette una domanda ancora irrisolta: di chi è la memoria? Dello Stato, della dinastia o della nazione intera?

Nel contrasto fra Parigi e Roma si riflette la diversa relazione che i due Paesi hanno con la propria storia. Così, mentre il Louvre conta le sue perdite, il tesoro sabaudo dorme, intatto ma invisibile, prigioniero del tempo e della prudenza. Forse un giorno verrà mostrato, non come reliquia monarchica ma come reperto della nostra storia collettiva. Fino ad allora resterà luce imprigionata nel buio della storia. E nel suo silenzio continuerà a raccontare che anche i regni, come i diamanti, brillano più forte quando non appartengono più a nessuno.

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