Da Genova al mondo: 150 anni dei Jeans Levi’s
Il 20 maggio 1873, 150 anni fa, un genovese trapiantato negli Usa brevetta il primo Jeans Levi’s con numero 139. È la nascita di un mito del nostro tempo
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Da Genova al mondo: 150 anni dei Jeans Levi’s
Il 20 maggio 1873, 150 anni fa, un genovese trapiantato negli Usa brevetta il primo Jeans Levi’s con numero 139. È la nascita di un mito del nostro tempo
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Da Genova al mondo: 150 anni dei Jeans Levi’s
Il 20 maggio 1873, 150 anni fa, un genovese trapiantato negli Usa brevetta il primo Jeans Levi’s con numero 139. È la nascita di un mito del nostro tempo
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Il 20 maggio 1873, 150 anni fa, un genovese trapiantato negli Usa brevetta il primo Jeans Levi’s con numero 139. È la nascita di un mito del nostro tempo
Nel 1853, a bordo di una delle tante navi che arrivano a New York cariche di emigranti europei, si trova un ragazzo bavarese di nome Löb Strauß che intende raggiungere i suoi due fratelli nel “Nuovo Mondo”. Ha con sé una valigia con all’interno una stoffa di colore blu incredibilmente resistente, realizzata da una ditta di Chieri e in uso presso il porto di Genova, dove viene utilizzata per confezionare le vele e i sacchi che coprono le merci: prende il nome di “Bleu de Gênes”. Ne esiste un’imitazione anche in Francia, realizzata da un’azienda di Nimes che ne realizza una sua versione denominata appunto “De Nimes”. L’estro dei genovesi ha portato all’intuizione che un simile materiale, praticamente indistruttibile, possa essere usato anche per confezionare abiti da lavoro e per vestire i marinai.
Il giovane Löb Strauß intuisce che un prodotto del genere possa piacere agli americani. Sono gli anni della corsa all’oro e c’è bisogno di vestire gli uomini che lavorano nelle miniere. Apre un piccolo negozio a San Francisco, diviene cittadino statunitense e si cambia nome, americanizzandolo in Levi Strauss. Muta anche il nome della stoffa che aveva portato al di là dell’Oceano: “Bleu de Gênes” diventa “Blue Jeans”, mentre “De Nimes” cambia in “Denim”. Per cucire i suoi pantaloni Levi Strauss si rivolge a un sarto, tale Jacob Davis, il quale ha un’idea fulminante: inserire dei rivetti in rame ai bordi delle tasche per rendere più duraturi i punti di maggiore stress del tessuto. Dopo un anno di esperimenti, il 20 maggio 1873 (giusto 150 anni fa) i due brevettano la loro idea con il numero di repertorio 139. È la nascita di un mito del nostro tempo.
Da indumento da lavoro il jeans diviene icona. John Wayne lo rende il capo per eccellenza del cowboy mentre James Dean e Marlon Brando ne fanno il simbolo della ribellione giovanile. A metà degli anni Settanta Calvin Klein lo porta per la prima volta in passerella e, da lì in poi, anche l’alta moda inizia a produrlo in massa. Da noi un giovane Oliviero Toscani realizza nel 1973 una campagna per la marca Jesus nella quale un fondoschiena femminile con indosso un paio di short campeggia sui manifesti con la scritta «Chi mi ama mi segua», scatenando l’ira funesta del Vaticano. Il jeans entrerà in qualche modo anche nella cronaca politica. Come nel caso del socialista Bettino Craxi il quale, recatosi al Quirinale per ricevere l’incarico di formare il governo, si presenta indossando un paio di jeans sotto la giacca e la cravatta, guadagnandosi così dal presidente Sandro Pertini un invito secco: «Vai a vestirti». O come nel caso di un acceso dibattito parlamentare su una incredibile sentenza in base alla quale una donna che indossava i celebri pantaloni blu non poteva essere considerata vittima di stupro.
Sia come sia, in 150 anni quel pezzo di stoffa partito da Genova ha segnato il nostro tempo, regalandoci una splendida metafora: quella di un potenziale straccio capace invece di cambiare la propria forma sino a diventare un simbolo celebrato ovunque. Meglio che nelle favole.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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