In Cile la discarica di vestiti usati più grande al mondo
In Cile c’è la più grande discarica al mondo di abiti usati o invenduti, già ribattezzata “Il cimitero del fast fashion”
In Cile la discarica di vestiti usati più grande al mondo
In Cile c’è la più grande discarica al mondo di abiti usati o invenduti, già ribattezzata “Il cimitero del fast fashion”
In Cile la discarica di vestiti usati più grande al mondo
In Cile c’è la più grande discarica al mondo di abiti usati o invenduti, già ribattezzata “Il cimitero del fast fashion”
In Cile c’è la più grande discarica al mondo di abiti usati o invenduti, già ribattezzata “Il cimitero del fast fashion”
Il deserto di Atacama è una distesa di oltre 100 chilometri quadrati che si estende lungo la costa Nord-Occidentale del Cile, fra la catena delle Ande e la Cordigliera della Costa. Pur essendo uno dei luoghi meno ospitali del mondo, con temperature che raramente scendono sotto i 40 gradi, vi resistono anche alcuni insediamenti abitati. Qui, all’estremità occidentale della zona e precisamente alla periferia di Alto Hospicio, esiste un posto molto particolare. Si tratta della più grande discarica al mondo di abiti usati o invenduti, già ribattezzata “Il cimitero del fast fashion”. Il Cile, infatti, non è soltanto il principale consumatore di abbigliamento in America Latina, ma è anche il Paese che importa il maggior numero di capi di seconda mano dal resto del mondo. Ogni giorno decine di Tir carichi di vestiario approdano ad Alto Hospicio, direttamente dal porto di Iquique, per depositare montagne di abiti di matrice cinese o bengalese che vengono poi ammassati nel deserto. Una situazione che sta rischiando seriamente di compromettere l’equilibrio ambientale nell’area interessata.
I tessuti sintetici che compongono quei vestiti impiegano infatti circa 200 anni per decomporsi naturalmente, rilasciando nel frattempo sostanze inquinanti che penetrano nel sottosuolo. Inoltre, molto spesso le enormi cataste di abiti vengono date alle fiamme con l’obiettivo di ridurne la massa, liberando però fumi tossici che invadono le città limitrofe. Patricio Ferreira, sindaco di Alto Hospicio, ha più volte denunciato la gravità del fenomeno che sta trasformando quell’angolo di deserto in una ‘zona di sacrificio’, ma le sue parole sono rimaste perlopiù inascoltate da parte del governo nazionale, che non sembra avere intenzione di mettersi contro i giganti della moda ‘mordi e fuggi’.
Una situazione pressoché identica avviene anche in Kenya, alle porte di Nairobi, precisamente a Dandora. Anche qui la presenza di una gigantesca discarica di indumenti a cielo aperto sta seriamente minacciando l’ecosistema dell’area subsahariana. Va detto che in Africa Occidentale il mercato degli abiti usati rappresenta un business rilevante. Dall’Europa e dagli Stati Uniti giungono ogni anno tonnellate di capi che dovrebbero essere smaltiti e che invece vengono acquistati da importatori locali, per essere rivenduti poi a basso prezzo nei mercati. Un circolo tutt’altro che virtuoso, alimentato dalle precarie condizioni economiche e che ha come risultato quello di trasformare i Paesi più poveri nelle pattumiere di quelli più ricchi.
Da più parti si è posto in evidenza come sia sempre più necessario diffondere una corretta informazione in merito al potenziale inquinante legato alla produzione di abbigliamento e, di conseguenza, al rapido consumo dello stesso. L’associazione “Desierto Vestido” (una non-profit cilena che si batte per combattere la piaga dei rifiuti tessili) da tempo sta sensibilizzando la comunità riguardo l’impatto ecologico di questi residui. Una tematica verso cui i principali protagonisti dell’industria del fast fashion non mostrano però particolare interesse. In barba al futuro nostro e del pianeta.
Qualche strategia di risposta inizia però a essere messa in campo. Sempre in Cile, l’azienda Ecofibra ha promosso un progetto di economia circolare per trasformare i rifiuti tessili di Atacama in pannelli ecologici per l’isolamento termico e acustico. Nella speranza che questo esempio possa essere seguito anche altrove. Per il bene di tutti.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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