L’occupazione dei lavoratori di Montemurlo nella boutique Patrizia Pepe svela il lato nascosto del Made in Italy
Sabato 8 novembre un gruppo di lavoratori della ditta L’Alba di Montemurlo (Prato) – che confeziona capi per Patrizia Pepe – ha occupato la boutique del marchio in piazza del Duomo a Firenze
L’occupazione dei lavoratori di Montemurlo nella boutique Patrizia Pepe svela il lato nascosto del Made in Italy
Sabato 8 novembre un gruppo di lavoratori della ditta L’Alba di Montemurlo (Prato) – che confeziona capi per Patrizia Pepe – ha occupato la boutique del marchio in piazza del Duomo a Firenze
L’occupazione dei lavoratori di Montemurlo nella boutique Patrizia Pepe svela il lato nascosto del Made in Italy
Sabato 8 novembre un gruppo di lavoratori della ditta L’Alba di Montemurlo (Prato) – che confeziona capi per Patrizia Pepe – ha occupato la boutique del marchio in piazza del Duomo a Firenze
Quando vediamo immagini di scioperi e occupazioni, la mente corre alle fabbriche metalmeccaniche, ai cancelli di provincia, alle tute blu con striscioni e megafoni.
La moda, le boutique, non fanno parte di quella visione, nell’immaginario collettivo restano il regno patinato del Diavolo veste Prada, non certo quello della protesta operaia.
Eppure oggi la protesta è arrivata anche lì, tra le vetrine lucenti della moda italiana
Eppure oggi la protesta è arrivata anche lì, tra le vetrine lucenti della moda italiana, dove tutto è pensato per brillare, per apparire perfetto, impeccabile.
Una mobilitazione dal forte valore simbolico che ci catapulta bruscamente nella realtà concreta di ciò che si nasconde dietro quella perfezione, ovvero le stesse tute, gli stessi capannoni e soprattutto la stessa fatica oltre che la stessa lotta.
Da mesi si moltiplicano i segnali di una tensione crescente all’interno del sistema moda.
Piccole aziende in crisi, ritardi nei pagamenti e lavoratori che protestano davanti ai marchi per cui confezionano abiti destinati alle vetrine di brand più prestigiosi.
È una rivoluzione ancora silenziosa, ma sempre più evidente, che attraversa un settore raccontato da decenni come simbolo di eccellenza, e che oggi non regge più mostrando tutte le sue crepe.
Un gruppo di lavoratori della ditta L’Alba di Montemurlo (Prato), che confeziona capi per Patrizia Pepe, ha occupato la boutique del marchio in piazza del Duomo a Firenze
Sabato 8 novembre 2025, un gruppo di lavoratori della ditta L’Alba di Montemurlo (Prato), che confeziona capi per Patrizia Pepe, ha occupato la boutique del marchio in piazza del Duomo a Firenze.
L’azione è durata otto ore, dalle 15 fino a tarda sera.
Circa venti operai all’interno e una ventina all’esterno, sostenuti da sigle sindacali e colleghi di altri laboratori del distretto, denunciano oltre due mesi senza stipendio, l’incertezza sulla continuità occupazionale e chiedono che il marchio partecipi al tavolo di crisi aperto dalla Provincia di Prato.
Secondo i sindacati, l’azienda si sarebbe rifiutata di intervenire in solido nel pagamento delle spettanze.
Al termine della giornata, dopo una lunga mediazione, la proprietà ha comunicato la disponibilità a sedersi al confronto di filiera.
Patrizia Pepe (e non solo), una nuova consapevolezza collettiva nel settore
Una piccola vittoria, che arriva dopo settimane di silenzio e potrebbe segnare una nuova consapevolezza collettiva nel settore.
Diventa necessario comprendere che la moda italiana è anche un colosso industriale, racchiude oltre 53.000 imprese, più di 420.000 addetti e un fatturato superiore a 89 miliardi di euro.
Vale quasi il 6% del PIL nazionale.
La Toscana è una delle regioni chiave del comparto, da sola concentra oltre il 30% delle aziende italiane, con Prato e Montemurlo come poli strategici del tessile e della confezione.
Il 34% delle imprese del settore ha sede in Toscana e più della metà nella provincia di Prato, molte operano in subappalto per grandi marchi, all’interno di catene produttive dove la compressione dei costi si traduce in erosione dei diritti.
Dietro la narrazione del “lusso etico e responsabile”, la realtà è più complessa
Dietro la narrazione del “lusso etico e responsabile”, la realtà è più complessa: turni lunghi, compensi bassi e contratti brevi trasformano la fabbrica dell’eccellenza in fabbrica di incertezza e precariato.
La vicenda di Firenze lo dimostra chiaramente, il Made in Italy non è solo un marchio di prestigio, ma un sistema produttivo fondato su lavorazioni nascoste, intermediari e piccole aziende che reggono l’intero impianto del valore, queste mobilitazioni sono spie rosse lampeggianti, da tenere d’occhio e leggere oltre la cronaca.
Per anni il settore ha mantenuto una distanza netta tra chi progetta e chi produce, limitandosi a raccontare il lavoro attraverso uno storytelling ormai poco autentico.
Il gesto di occupazione delle vetrine, ha interrotto, anche solo per un momento, questa consuetudine.
Le stesse mani che cuciono gli abiti sono entrate nello spazio che, simbolicamente, le aveva sempre escluse.
Un gesto semplice, certo ma eloquente, che riporta il lavoro al centro dell’immagine.
Le vetrine della moda, ricche di oggetti e desideri, sono il frutto del lavoro di persone reali, con nomi, storie e competenze.
La rivoluzione più radicale non è solo quella che sfila, ma quella che resta che ci costringe a guardare oltre la superficie e a riconoscere chi rende possibile tutto questo.
di Serena Parascandolo
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