Moda, la crisi fa tendenza
Sono un segreto di Pulcinella i numeri che stanno accompagnando il calo imperioso dell’intero mondo della moda: al vertice della crisi svetta il gruppo internazionale Kering
Moda, la crisi fa tendenza
Sono un segreto di Pulcinella i numeri che stanno accompagnando il calo imperioso dell’intero mondo della moda: al vertice della crisi svetta il gruppo internazionale Kering
Moda, la crisi fa tendenza
Sono un segreto di Pulcinella i numeri che stanno accompagnando il calo imperioso dell’intero mondo della moda: al vertice della crisi svetta il gruppo internazionale Kering
Sono un segreto di Pulcinella i numeri che stanno accompagnando il calo imperioso dell’intero mondo della moda: al vertice della crisi svetta il gruppo internazionale Kering
Ha riaperto i battenti la Milano Fashion Week autunno-inverno 2025/2026 tutta al femminile, che quest’anno festeggia importanti traguardi come i cento anni di storia di Fendi e i cinquant’anni di attività di ‘re’ Giorgio Armani. A inaugurare le passerelle è stato Gucci, sul quale erano puntati i riflettori dati il recente licenziamento improvviso dello stilista Sabato De Sarno e le frenetiche ipotesi di nuova direzione artistica che si sono susseguite per settimane. Le sfilate risentiranno dei gossip legati soprattutto ai nomi degli stilisti che accoglieranno sfide impossibili: il focus delle riviste di settore è sempre sul ‘chi’, quando forse ci si dovrebbe occupare maggiormente di che cosa cambiare, fare, migliorare.
Sono infatti un segreto di Pulcinella i numeri che stanno accompagnando il calo imperioso dell’intero mondo tessile: al vertice della crisi svetta il gruppo internazionale Kering (gestisce fra gli altri Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga, Mc Queen, Pomellato e Ginori). Analizzando il settore nel suo complesso, il 2023 si era chiuso in ottima salute. I dati comunicati dalla Camera nazionale della moda italiana consolidavano performance in crescita del 4% rispetto all’anno precedente, portando il totale degli affari a oltre 102 miliardi di euro.
Qualcosa di grave è accaduto invece nel 2024: forse l’onda lunga della guerra russo-ucraina con un aumento considerevole dei prezzi di energia e materie prime, il costo del denaro ancora elevato, il calo delle esportazioni soprattutto verso Usa e Cina, il conflitto in Medio Oriente con le conseguenti tensioni geopolitiche, l’incognita delle elezioni americane. Insomma, un quadro complessivo dipinto a tinte fosche che ha rallentato Kering e Lvmh (Louis Vuitton, Dior, Celine, Kenzo, Givenchy, Fendi, Loro Piana e molti altri). L’anno si è chiuso così con una frenata del 3,5% rispetto al precedente, portando il valore complessivo a 97,7 miliardi di euro di ricavi.
Le previsioni per l’anno in corso – secondo i trend della Camera nazionale della moda italiana – focalizzano un calo ulteriore, fissando la partita a 96 miliardi di euro. Il dato previsionale peggiora di mese in mese, nonostante si tenga conto dei soli settori collegati al fashion che ‘tengono’, ovvero occhiali, beauty e gioielli. Il core business (tessile, abbigliamento, calzature e pelletteria) soffre malamente.
Gli effetti peggiori di questo pessimo stato di salute si hanno sulla filiera produttiva italiana, che va urgentemente posta sotto ossigeno: nel comparto pelli, calzature e cuoio (il più critico) le ore concesse per la cassa integrazione sono aumentate del 139,4%, il triplo rispetto al settore della meccanica. L’abbigliamento e il tessile vedono un incremento della cassa integrazione rispettivamente del 124,7% e del 74,6%. L’area più colpita dalla crisi è la Toscana (lavorazione delle pelli) che conta all’incirca 100mila cassintegrati, con tavoli di crisi aperti alla ricerca del filo di Arianna che consenta l’uscita dal labirinto.
Gli ordini arrivati a gennaio potranno rappresentare la luce in fondo al tunnel? La ripresa del settore si vedrà a fine 2025 o bisognerà attendere ancora? La crisi è davvero strutturale? A queste e molte altre domande forse i signori della moda dovranno dare risposte, non inanellando cognomi illustri o nomi di geniali sconosciuti a cui affidare recuperi impossibili, ma valutando davvero quanto sia inarrivabile per la società media acquistare un capo firmato, fintanto che una giacca di Gucci vale quattro stipendi e una borsa Loro Piana coincide con il compenso annuo di un impiegato. Che le proporzioni fra salari e prezzi siano saltate è chiaro a tutti, ecco perché gli unici oggetti firmati che molti italiani possono permettersi di acquistare sono gli occhiali (avendo lasciato perdere da tempo anche le borse): non a caso l’unico comparto che tiene ancora gli occhi aperti.
di Nathalie Santin
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