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Non comprare un’ottima camicia perché “made in Romania”

Un problema che si fanno più le aziende, che non si accorgono come  i consumatori siano ormai pronti. A una condizione però
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Non comprare un’ottima camicia perché “made in Romania”

Un problema che si fanno più le aziende, che non si accorgono come  i consumatori siano ormai pronti. A una condizione però
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Non comprare un’ottima camicia perché “made in Romania”

Un problema che si fanno più le aziende, che non si accorgono come  i consumatori siano ormai pronti. A una condizione però
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Un problema che si fanno più le aziende, che non si accorgono come  i consumatori siano ormai pronti. A una condizione però
Un paio di settima e fa la Guardia di Finanza, nei pressi di Treviso, ha intercettato un camion zeppo di camicie di alta sartoria provenienti dalla Romania ma riportanti l’etichetta fasulla “made in Italy”. Un carico di 786 camicie dal valore piuttosto ingente: circa 70mila euro, a dimostrazione del fatto che tessuto, taglio e cura dei dettagli fossero di pregio. Nulla di nuovo, accade ogni giorno. E chissà quanti dei prodotti che teniamo in casa riportano la dicitura “prodotto in Italia” quando in realtà sono stati confezionati interamente all’estero.  Quello che molte aziende non hanno ancora capito è che in un momento in cui l’inflazione corre molto più velocemente degli stipendi, una fetta di italiani se ne frega bellamente del “made in Italy” e cerca di risparmiare dove può; lo stesso fanno le imprese che per tagliare il costo del lavoro si rivolgono a “mani straniere” (solo che quelle oneste lo comunicano ai propri clienti). La conferma di questo bisogno arriva dal successo di molte app di fattura cinese – l’ultima in ordine di tempo si chiama Temu e della sua etica abbiamo parlato su queste pagine proprio di recente – dove i prodotti hanno prezzi stracciati oltre a una dubbia qualità. Tuttavia c’è una clientela che alla qualità tiene ancora e che, al tempo stesso, cerca il prezzo “giusto”, pretesa assai difficile da soddisfare in Italia a causa del caro delle materie prime e del costo del lavoro. Tradotto, c’è una clientela che quelle camicie – anche se made in Romania – le comprerebbe più che volentieri. Già lo facciamo da decenni, senza porci troppe domande, con certi marchi “americani” prodotti in Cina come Nike e Apple, davvero non potremmo farlo anche con quelli “italiani”? 
Possiamo eccome, purché venga detto. Onestà e trasparenza premiano l’imprenditore e fidelizzano il consumatore. È il caso curioso di Dario Guevarra, chef del ristorante filippino “Mabuhay” che si è appena piazzato primo su 6261 ristoranti recensiti a Milano sul sito Tripadvisor. Nessuno si sogna di mettere in discussione la supremazia della cucina e della moda del Belpaese che restano un vanto unico nel mondo ma è anche vero che gli italiani, per fortuna, sono anche un popolo curioso, aperto alle novità e sempre meno legato alle etichette, di qualunque tipo esse siano. Il nuovo che avanza non va vissuto come una minaccia. Lo abbiamo detto più volte, anche in questi giorni, come la concorrenza, se leale, rappresenti il motore propulsivo di un mercato libero ed efficiente. Che lascino quindi pure scritto “made in Romania” perchè il sold out è pressoché garantito.  
 

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