Valentino SS26, il potere del non detto
C’è un buio che non è solo metafora. È il buio che pesa sulle parole, sui gesti quotidiani, sulla memoria che ci attraversa. In questo tempo fatto di ferite e di silenzi, la moda sceglie di non alzare la voce, ma di accendere piccole luci. Valentino, con la collezione Primavera/Estate 2026, le chiama Fireflies

Valentino SS26, il potere del non detto
C’è un buio che non è solo metafora. È il buio che pesa sulle parole, sui gesti quotidiani, sulla memoria che ci attraversa. In questo tempo fatto di ferite e di silenzi, la moda sceglie di non alzare la voce, ma di accendere piccole luci. Valentino, con la collezione Primavera/Estate 2026, le chiama Fireflies
Valentino SS26, il potere del non detto
C’è un buio che non è solo metafora. È il buio che pesa sulle parole, sui gesti quotidiani, sulla memoria che ci attraversa. In questo tempo fatto di ferite e di silenzi, la moda sceglie di non alzare la voce, ma di accendere piccole luci. Valentino, con la collezione Primavera/Estate 2026, le chiama Fireflies
C’è un buio che non è solo metafora. È il buio che pesa sulle parole, sui gesti quotidiani, sulla memoria che ci attraversa. In questo tempo fatto di ferite e di silenzi, la moda sceglie di non alzare la voce, ma di accendere piccole luci. Valentino, con la collezione Primavera/Estate 2026, le chiama Fireflies.
Segni minimi e fragili, ma capaci di interrompere la notte e restituirci la possibilità di vedere. Il racconto si apre con una data: 1 febbraio 1941. È Pasolini a scriverla nei suoi diari, nel pieno della guerra mondiale, quando l’Europa è schiacciata dai bombardamenti e dalle dittature. Un giorno qualsiasi, eppure segnato come emblema di un’epoca in cui persino immaginare il domani sembrava un lusso.
Quel “1 febbraio” torna trentaquattro anni dopo, con un peso diverso ma la stessa urgenza. Il 1 febbraio 1975, sul Corriere della Sera, Pasolini pubblica il suo celebre articolo delle lucciole. Non è la cronaca di un fenomeno naturale, ma il ritratto di un Paese che cambia troppo in fretta, che smarrisce sensibilità, memoria, umanità: «Con loro – scriveva – è scomparsa la realtà contadina, un intero universo di valori e rapporti umani».
Così le due date sembrano parlarsi in un cupo viaggio nel tempo: 1941, il buio della guerra; 1975, il buio di una modernità che spegne i suoi ultimi bagliori di umanità. In mezzo, il filo pasoliniano che oggi la moda riprende come metafora di una luce fragile ma capace di resistere. Su quella stessa immagine, oggi Michele e Marchetti costruiscono la loro narrazione, intrecciandola con la lettura di Georges Didi-Huberman, per il quale non sono le lucciole a essere morte, ma il nostro sguardo e con la lezione di Italo Calvino, che invita a “disarmare gli occhi” per cogliere i segni minimi, indizi di altri mondi possibili.
Tre tempi diversi, voci lontane, una possibilità: ricordarci che anche nei momenti più oscuri non tutto è perduto. Questo è il filo che Valentino intreccia oggi nella collezione Fireflies, un invito non solo a vestire i corpi, ma a interrogare le coscienze. A ritrovare, insieme alla bellezza e la capacità di vedere.
Siamo nel tempo in cui la moda può assumere un compito nuovo, non decorare, non distrarre, ma piuttosto allenare lo sguardo. Insegnarci a cogliere l’invisibile e a non perdere il filo delle cose che contano davvero. Perché anche nelle epoche più oscure sopravvivono tracce luminose, indizi minimi ma forti segni di futuro che chiedono di essere raccolti. La moda, in questa prospettiva, può essere un’alleata della visione.
Ed è proprio qui che si misura il potere e il limite del linguaggio della moda. In un video molto toccante, la docente Michela Bonafoni ha letto la press release di Valentino cogliendone l’essenza. Ha parlato di un atto di coraggio, quello di evocare il buio che ancora ci attraversa. Eppure, ha aggiunto, manca il passo decisivo. Un passo che non è piccolo, ma immenso. La moda, con la sua forte potenza evocativa, può arrivare a sfiorare la verità, ma non osa dirla o forse non riesce fino in fondo. In questa scelta non c’è silenzio, ma un non detto che diventa spazio di interpretazione. Un vuoto che interroga chi guarda, chiedendogli di scegliere se riempirlo con l’indifferenza o trasformarlo in responsabilità. Nell’epoca del buio, la moda sceglie il linguaggio fragile delle metafore. Non è poco, perché basta una lucciola a interrompere la notte.
La sfida non è attendere che la luce torni da sola, ma imparare a riconoscerla, custodirla, moltiplicarla. La vera sfida, oggi, è questa: non smettere di credere che l’umanità possa ancora brillare.
di Serena Parascandolo
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- Tag: moda
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