Giornata mondiale per la salute mentale
Oggi 10 ottobre è la Giornata mondiale per la salute mentale, un tema di cui si parla ancora troppo poco, persino nella comunità clinica
| Salute
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Oggi 10 ottobre è la Giornata mondiale per la salute mentale, un tema di cui si parla ancora troppo poco, persino nella comunità clinica
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Oggi 10 ottobre è la Giornata mondiale per la salute mentale, un tema di cui si parla ancora troppo poco, persino nella comunità clinica
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Oggi 10 ottobre è la Giornata mondiale per la salute mentale, un tema di cui si parla ancora troppo poco, persino nella comunità clinica
La prima volta che ho sentito parlare di pazzia avevo cinque anni. La pazza in questione era mia zia, ricoverata per un periodo in una clinica psichiatrica sui colli bolognesi. Da che ne ho memoria, la malattia mentale è sempre stata un tabù. Di zia si parlava sottovoce e soltanto in famiglia, sospirando dalla vergogna. Ammettere di avere un malato psichiatrico in casa veniva percepito come un rischio sociale, come se si trattasse di una malattia contagiosa, di un qualcosa che generava negli altri una paura irrazionale ma reale.
Anni dopo è toccato a me. Prima l’anoressia nervosa, poi un periodo di ciclotimia, le due depressioni post partum, la dissociazione. A far da cappello a tutto una diagnosi di disturbo post traumatico da stress. A leggerle così, in fila, le mie diagnosi psichiatriche fanno una discreta paura. Eppure io sono qui, con un titolo di studio, una bella famiglia, un buon lavoro, una vita normale. Sono l’esempio vivente che la malattia mentale non è una condanna e che con la giusta terapia si può guarire dai sintomi, riprendere in mano la propria vita e stare bene.
Nonostante se ne parli di più e meglio, nominare le patologie psichiatriche è ancora oggi un tabù, persino nella comunità clinica. Sono molti gli psichiatri e psicoterapeuti che hanno resistenze a restituire le diagnosi ai pazienti e preferiscono parlare di disagio, malessere psicologico, momento difficile. Eppure la diagnosi è un momento fondamentale del processo di cura, perché identifica il problema in modo puntuale e permette al paziente di acquisire consapevolezza. Nessun medico si sognerebbe mai, davanti a una frattura del femore, di parlare di “malessere dell’osso”.
Tutta questa segretezza, questo alludere senza mai svelare, non fa che accrescere invece di alleviare la coltre di paura e mistero che aleggia intorno alla psichiatria, spaventando a morte chi si trova a sperimentare una patologia della mente a cui non sa dare un nome.
Chiunque abbia sofferto di queste malattie sa bene come le parole “disagio” e “malessere” non rappresentino per nulla l’entità del dolore, del disorientamento e dei danni che producono. D’altro canto, se a pronunciarle è un clinico, non possono essere sbagliate. Quella sbagliata, al massimo, sei tu. Così intorno a queste malattie si continua a camminare in punta di piedi, come se fossero gravi a tal punto da non poterle nemmeno nominare.
La paura dello stigma del mondo fuori, quello che faceva parlare sottovoce i miei parenti della “zia pazza”, non si combatte sminuendo la portata di una malattia. Al contrario, è dandole dignità, parlandone e migliorandone la comprensione che s’insegna a chi non la conosce a rispettarla senza averne paura e a chi ne soffre ad affrontarla a testa alta.
di Maruska Albertazzi
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