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Ridere, ridere e ridere ancora

Il cavaliere al galoppo verso Samarcanda lo aveva intuito: il miglior modo per detronizzare la paura è «ridere, ridere e ridere ancora». Oltre seicento ricerche scientifiche hanno provato le potenzialità della pratica. Nel 1995 un medico indiano ideò addirittura una nuova disciplina: lo yoga della risata.
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Ridere, ridere e ridere ancora

Il cavaliere al galoppo verso Samarcanda lo aveva intuito: il miglior modo per detronizzare la paura è «ridere, ridere e ridere ancora». Oltre seicento ricerche scientifiche hanno provato le potenzialità della pratica. Nel 1995 un medico indiano ideò addirittura una nuova disciplina: lo yoga della risata.
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Ridere, ridere e ridere ancora

Il cavaliere al galoppo verso Samarcanda lo aveva intuito: il miglior modo per detronizzare la paura è «ridere, ridere e ridere ancora». Oltre seicento ricerche scientifiche hanno provato le potenzialità della pratica. Nel 1995 un medico indiano ideò addirittura una nuova disciplina: lo yoga della risata.
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Il cavaliere al galoppo verso Samarcanda lo aveva intuito: il miglior modo per detronizzare la paura è «ridere, ridere e ridere ancora». Oltre seicento ricerche scientifiche hanno provato le potenzialità della pratica. Nel 1995 un medico indiano ideò addirittura una nuova disciplina: lo yoga della risata.
Il cavaliere al galoppo verso Samarcanda lo aveva intuito: il miglior modo per detronizzare la paura è «ridere, ridere e ridere ancora». Nel 1977, quando Vecchioni scrisse uno dei versi più cantati della musica italiana, non si sapeva ancora nulla delle proprietà terapeutiche della risata. Bisogna attendere sino al 1995, quando un medico indiano (e chi se no?) ideò una nuova disciplina: lo yoga della risata. Dapprima seguito da uno sparuto gruppo di fedelissimi che si incontravano in un parco pubblico di Mumbay, ora Madan Kataria conta oltre 4 milioni di seguaci in tutto il mondo.

Attenzione: non si tratta di una setta religiosa che celebra chissà quale nuova divinità ma di un metodo per ritrovare il benessere anche nelle situazioni più complicate.

La ricetta è semplice: bisogna ridere per scelta e in maniera prolungata. Oltre seicento ricerche scientifiche hanno provato le potenzialità della pratica: il cervello non distingue una risata vera da una autoindotta, per cui anche solo dopo un quarto d’ora il corpo e la mente beneficerebbero di positività, energia e benessere. Gli effetti sono ulteriormente amplificati quando si effettuano sessioni di gruppo e tra i partecipanti si innesca il contagio dei neuroni specchio. Lo yoga della risata deve il suo nome alla combinazione delle respirazioni profonde, proprie della disciplina meditativa, con gli esercizi di risate. Negli ultimi anni molte aziende hanno introdotto sessioni per stimolare il benessere e l’affiatamento tra i dipendenti; con la pandemia la pratica ha fatto il suo ingresso anche nelle residenze per anziani, negli ospedali pediatrici e nelle carceri.

Gli esercizi fisici sono semplicissimi.

Mentre una situazione comica sporadica fa ridere per circa un minuto, attraverso l’allenamento si possono riprodurre le stesse emozioni prolungate nel tempo. Perché il corpo possa trovare beneficio, bisognerebbe ridere almeno quindici minuti consecutivi al giorno, il tempo necessario al corpo per assorbire il joy cocktail, ovvero il mix di ossigeno e rilassamento psico-fisico. Bisognerebbe iniziare con una risata timida e delicata, facendola gradualmente aumentare di intensità fino a ridere a bocca aperta, così da rilassare la gola e far lavorare i muscoli dell’addome. Il secondo esercizio sfrutta la fisiologia della risata e consente una profonda ossigenazione.

Bisogna inspirare una grande quantità di aria sino a gonfiare la pancia, trattenere il fiato finché si resiste per lasciarla uscire con il sorriso sulle labbra.

Piccoli gesti e momenti che, se inseriti in una routine quotidiana, possono aumentare l’autostima, l’intelligenza emotiva, la concentrazione e la sicurezza in sé stessi. Non è un caso se anche Roberto Benigni si fa serio quando parla della risata: «Quando si ride ci si lascia andare, si è nudi, ci si scopre. Quando uno ride, vedi un po’ la sua anima. E poi quando si ride ci si muove, ci si scuote. Ci si scuote come un albero e si lascia per terra le cose che gli altri possono vedere e magari cogliere. Gli avari e coloro che non hanno niente da offrire, infatti, non ridono».   Di Stefano Caliciuri

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