Sanità e grandi illusioni
Sanità e grandi illusioni
Sanità e grandi illusioni
In Italia persiste una grande illusione: che il Sistema sanitario nazionale sia, di fatto, gratuito. Molti pubblici amministratori (nei giorni scorsi anche il presidente della Regione autonoma Friuli Venezia-Giulia Fedriga, uomo solitamente attento alle parole della politica) dicono che «Sì, la riforma della sanità è necessaria ma c’è bisogno di più fondi». Più fondi, quindi più debito pubblico, ergo più tasse. Già questo ci fa capire che proprio gratuito il sistema non è e non può essere. La verità fa male, come recitava negli anni Sessanta la canzone del ‘caschetto d’oro’ Caterina Caselli, ma il vero dato è che i fondi ci sono, ci sono sempre stati ma vengono spesi male, in modo dissennato, clientelistico, corruttivo.
Il ministro della Salute – che ha cambiato il nome (prima era della Sanità) perché in Italia basta una riverniciata e pensi di aver ristrutturato casa, ma la muffa e l’usura del tempo sono rimaste – ha chiesto di aumentare di 4 miliardi il Fondo per la sanità. Domandiamogli e chiediamocelo anche noi, utenti del sistema: a che servono? E soprattutto, a chi? Non si fa altro che discutere di soldi in più, di nuove imponenti risorse. Alla via così, direbbero i bravi marinai, salvo poi scoprire che le vele sono vecchie, rotte e rattoppate e che lo scoglio si avvicina. La Fondazione Gimbe, che di queste cose se ne intende e studia i dati, ha denunciato che la sanità è «lanciata verso il baratro». Schlein e Conte subito si sono gettati a capofitto sull’affermazione apocalittica ma vera per promettere una «opposizione dura e senza sconti».
I nostri ospedali pubblici hanno tempi di attesa biblici per i tanti, a volte troppi, esami specialistici che ci vengono prescritti. Esami cui il medico – non di rado impreparato e uscito da un’università in cui non ha visto per anni un malato (e sovente nemmeno un primario) – si affida perché insicuro se non addirittura incapace di una corretta diagnosi clinica. Quindi il paziente (mai termine fu più adatto) si rivolge alle crescenti strutture private (chiedetevi perché nascono come funghi) per accelerare, pagando fior di soldi, l’esame specialistico richiesto: ecografie, Tac, Pet e via aspettando.
Una considerazione semplice: perché una Tac, apparecchiatura complessa e costosa, deve funzionare con gli stessi orari di un ufficio pubblico? Perché negli ospedali, pubblici o privati convenzionati, questi esami che si ritiene siano fondamentali non possono essere eseguiti il sabato, la domenica e fino a tarda sera? I supermercati sono aperti fino alle 22 e a volte anche di notte. I laboratori no.
di Andrea PamparanaLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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