“1860”, il film sulla spedizione dei Mille
L’opera di Blasetti prodotta nel 1933 fu l’antesignana di una moda che fece della Sicilia terra del cinema.
“1860”, il film sulla spedizione dei Mille
L’opera di Blasetti prodotta nel 1933 fu l’antesignana di una moda che fece della Sicilia terra del cinema.
“1860”, il film sulla spedizione dei Mille
L’opera di Blasetti prodotta nel 1933 fu l’antesignana di una moda che fece della Sicilia terra del cinema.
L’opera di Blasetti prodotta nel 1933 fu l’antesignana di una moda che fece della Sicilia terra del cinema.
Il film di Alessandro Blasetti “1860” racconta una vicenda romanzata sullo sfondo storico del Risorgimento: il giovane pastore e patriota siciliano Carmeliddu, sposato con Gesuzza, deve lasciare la sua donna per raggiungere il continente e qui sollecitare Giuseppe Garibaldi ad attuare lo sbarco dei “Mille” in Sicilia. Per affrontare in maniera adeguata l’argomento della pellicola, Blasetti legge “Noterelle di uno dei Mille” di Giuseppe Cesare Abba, compulsa la bibliografia prodotta per il cinquantenario della morte di Garibaldi, le carte depositate presso gli archivi di Napoli e Palermo, utilizza come fonti iconografiche il libro di Gustavo Sacerdote “Mode, costumi, divise borboniche” e i quadri dei pittori Girolamo Induno e Silvestro Lega.
Dalla confluenza di tali apporti nasce il film “1860” che, prodotto nel 1933, appare nelle sale nel marzo del 1934 e poi verrà rieditato nel 1951 in versione ridotta rispetto all’originale e con il sottotitolo “I Mille di Garibaldi”. A dispetto dell’omaggio al fascismo quando sostiene la tesi della continuità Risorgimento-Grande Guerra-Fascismo e stabilisce una somiglianza tra la figura di Garibaldi e quella di Mussolini, “1860” è un film antiretorico e poco celebrativo. Non dispiacque infatti alla gioventù intellettuale antifascista: «Fummo il pubblico che batteva le mani a “1860” di Blasetti e che fischiava Forzano» ricorderà Lucio Lombardo Radice.
Più in particolare, il film descrive un’Italia popolata dai dialetti di diverse regioni e dagli esponenti di tutte le classi sociali, per non dire della «scoperta straordinaria del paesaggio, la ricerca coraggiosa di personaggi e ambienti popolari» (Carlo Lizzani). E questo perché Blasetti, determinato a girare in esterni reali, chiese e ottenne dalla “Cines” che le riprese del film avessero come scenario i paesini, le campagne e i monti della Sicilia.
Per tutto il tempo delle riprese Blasetti si impegna non poco a rendere spontanea e credibile la recitazione degli attori occasionali del film. Tramite la carovana della “Cines”, in quegli anni il cinema sbarca in Sicilia con gli attori protagonisti in auto, le numerose comparse in autobus, i camion stipati di macchinari e di elettricisti. Paesi deserti e silenziosi, dove la vita trascorre monotona, si riempiono così di curiosi e sfaccendati provenienti dalle vicinanze. Blasetti grida, minaccia, invoca l’aiuto dei carabinieri e non immagina che sta per diventare l’antesignano di tanti registi che a partire dall’immediato secondo dopoguerra, armati di una macchina da presa, eleggeranno la Sicilia terra del cinema.
di Lorenzo Catania
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