27 anni di Un posto al sole, parla Paolo Terracciano
Era l’ottobre del 1996, la Rai trasmette la prima puntata de “Un posto al sole”. Oggi quel prodotto è ancora forte e ne parliamo con il capo autore Paolo Terracciano

27 anni di Un posto al sole, parla Paolo Terracciano
Era l’ottobre del 1996, la Rai trasmette la prima puntata de “Un posto al sole”. Oggi quel prodotto è ancora forte e ne parliamo con il capo autore Paolo Terracciano
27 anni di Un posto al sole, parla Paolo Terracciano
Era l’ottobre del 1996, la Rai trasmette la prima puntata de “Un posto al sole”. Oggi quel prodotto è ancora forte e ne parliamo con il capo autore Paolo Terracciano
Nell’ottobre del 1996 la Rai manda in onda la puntata d’esordio di quella che viene presentata come la prima soap opera di casa nostra: “Un Posto al sole”. Negli anni Novanta il modello imperante del genere era quello dei prodotti di “lunga serialità” americani e mai nessuno, a queste latitudini, aveva osato cimentarsi con format analoghi. Ci pensa Giovanni Minoli, al quale viene chiesto di rilanciare il centro Rai di Napoli (ormai quasi in disuso). E il giornalista ha un’idea: realizzare una fiction ambientata e interamente sviluppata nel capoluogo campano.
Il modello di riferimento è “Neighbours”, una soap australiana alla quale negli anni hanno partecipato personaggi come Kylie Minogue, Guy Pearce e Margot Robbie, ma la scrittura e la parte narrativa vengono completamente realizzate da autori di casa nostra. «Nessuno poteva pensare che sarebbe divenuto un prodotto così longevo, sebbene la struttura stessa della soap in sé non preveda un finale» ricorda Paolo Terracciano, capo autore del programma. L’intuizione di Minoli si rivela vincente e “Un posto al sole” totalizza ascolti da record nel palinsesto di RaiTre. Il motivo è semplice: si tratta di un prodotto leggero ma non disimpegnato, popolare e, soprattutto, sempre attuale.
Terracciano osserva che «mantenere la narrazione al passo con i tempi che cambiano e quindi con l’evoluzione delle vicende dei personaggi è un grande stimolo e al tempo stesso un’occasione di rinnovamento, soprattutto per le tematiche sociali che sono una caratteristica del nostro prodotto, capace in questo modo di registrare anche i mutamenti avvenuti nel corso degli anni». E con gli anni crescono anagraficamente anche i protagonisti della soap, alcuni dei quali – come nel caso di Peppe Zarbo, che ha recentemente lasciato la serie – vivono il loro processo di crescita sotto gli occhi del pubblico, stabilendo così una ulteriore connessione con lo spettatore.
In tema di cambiamenti, “Un posto al sole” è riuscita a vincere anche la sfida con le nuove forme di serialità emerse negli ultimi anni grazie alle piattaforme. «L’arrivo di RaiPlay è stato un ulteriore strumento di fidelizzazione dello spettatore sebbene, per un prodotto quotidiano come il nostro, l’elemento della ritualità abbia ancora un valore importante» precisa Terracciano. «Va anche detto che grazie alle piattaforme alcune serie come “Mare Fuori” sono esplose definitivamente e su larga scala». Ma quello che era nato come un esperimento – e che negli anni è divenuto un appuntamento fisso per milioni di italiani – continua a rappresentare un unicum nel nostro panorama televisivo. Qualche tentativo di imitazione c’è stato, eppure nessun’altra serie televisiva è riuscita a eguagliare il successo e la longevità di “Un posto al sole”. Una soap opera che, raccontando l’Italia degli ultimi ventisette anni, è divenuta uno specchio nel quale guardarsi per vedere se continuiamo a somigliare a noi stessi. E che magari ci aiuta anche a comprendere come diventeremo.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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