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ACAB

“ACAB – La serie”, poliziotti incasinati

Al netto dei gusti personali, nel complesso “ACAB” è una buona serie, un prodotto non eccezionale ma solido, adulto e maturo

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“ACAB – La serie”, poliziotti incasinati

Al netto dei gusti personali, nel complesso “ACAB” è una buona serie, un prodotto non eccezionale ma solido, adulto e maturo

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“ACAB – La serie”, poliziotti incasinati

Al netto dei gusti personali, nel complesso “ACAB” è una buona serie, un prodotto non eccezionale ma solido, adulto e maturo

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Al netto dei gusti personali, nel complesso “ACAB” è una buona serie, un prodotto non eccezionale ma solido, adulto e maturo

Fare un film o una serie sulle forze dell’ordine in Italia è rischioso, se non altro perché si corre il rischio di cadere in uno dei due estremi: l’agiografia da fiction generalista con poliziotti belli come fotomodelli, sottopagati e sempre eroici; oppure la condanna impietosa di un sistema fascistoide marcio dalla testa alla radice. “ACAB – La serie” all’inizio sembra spostata verso il secondo estremo, ma nella sceneggiatura c’è il tentativo di non dividere nettamente i buoni dai cattivi, presentando gli eccessi del cameratismo dei Reparti mobili della Polizia (la celere) quasi come un ‘male necessario’ per affrontare una vita effettivamente molto difficile.

La serie prodotta da Cattleya e distribuita da Netflix è un seguito antologico del film del 2012 tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini, “ACAB: All Cops Are Bastards” (disponibile su RaiPlay), diretto dall’allora poco famoso Stefano Sollima che dopo dieci anni di successi internazionali torna sul quel soggetto nelle vesti di produttore esecutivo. La storia inizia in Val di Susa durante una notte di scontri con i no Tav. Il capo della celere viene ferito da una bomba carta e il comando passa all’ispettore Ivano Valenti detto Mazinga (impersonato da Marco Giallini), un veterano – l’unico personaggio presente anche nel film – che ordina alla sua squadra una carica di rappresaglia in cui alcuni attivisti vengono brutalmente pestati. Tornati a Roma, il capo della squadra viene sostituito da Michele Nobili (un ottimo Adriano Giannini), un poliziotto che si porta dietro la reputazione di aver tradito i colleghi denunciando i loro abusi. Com’è facile immaginare, per Nobili non sarà facile farsi rispettare dai suoi uomini (e una donna), tutte persone problematiche: in particolare Marta Sarri (Valentina Bellè), madre single che cerca di difendere la figlia dall’influenza del padre ex marito violento, e Salvatore Lovato (Pierluigi Gigante), che vive in caserma e praticamente non ha una vita al di fuori della squadra.

Il difetto principale di “ACAB” è proprio qui, tutti i poliziotti sono afflitti da una dose massiccia di casini e drammi personali sopra le righe, cadendo in un altro stereotipo: chi non è già divorziato ha comunque un matrimonio in crisi, i rapporti con i figli sono un disastro o una tragedia, le relazioni con le persone del ‘mondo civile’ sono sempre problematiche, l’alienazione sembra il destino ineluttabile degli uomini e delle donne della celere.

La messa in scena – spoglia ma adeguata ai toni della serie – non fa che sovraccaricare questo aspetto, con una rappresentazione grigia, cupa e complessata, dove le sfortune si susseguono senza che arrivi mai un vero momento di alleggerimento. Tuttavia, nel corso di sei episodi i personaggi di “ACAB” vengono esplorati, il loro destino interessa. Chi sembra far parte dei buoni tende a scivolare nell’oscurità, chi risulta più inquietante ha poi modo di svelare il suo lato edificante.

La qualità del cast fa la differenza. In particolare Giallini, che riesce a trasmettere tutta la stanchezza di un celerino 60enne, e poi Gigante e Bellè, perfetti nel dare un volto a due personaggi così tormentati nelle viscere e nell’anima. Vista la quantità di vicende personali, sei episodi risultano insufficienti: un’estensione (o al contrario dei tagli) avrebbe dato spazio a sottotrame che richiedevano un arco narrativo più completo. Al netto dei gusti personali, nel complesso “ACAB” è una buona serie, un prodotto non eccezionale ma solido, adulto e maturo.

di Federico Bosco

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