Adda passà a nuttata, ma non il napoletano
Il duro giudizio dello scrittore Maurizio de Giovanni sul napoletano “utilizzato” dal rapper-trapper Geolier. Riadattare la lingua ma senza perdere le radici
Adda passà a nuttata, ma non il napoletano
Il duro giudizio dello scrittore Maurizio de Giovanni sul napoletano “utilizzato” dal rapper-trapper Geolier. Riadattare la lingua ma senza perdere le radici
Adda passà a nuttata, ma non il napoletano
Il duro giudizio dello scrittore Maurizio de Giovanni sul napoletano “utilizzato” dal rapper-trapper Geolier. Riadattare la lingua ma senza perdere le radici
AUTORE: Fulvio Giuliani
Il duro giudizio dello scrittore Maurizio de Giovanni sul napoletano “utilizzato” dal rapper-trapper Geolier, uno dei nomi più in vista della nouvelle vogue partenopea, ha messo il dito in una piaga che non conviene cercare di ignorare. Premessa: chi scrive apprezza Geolier, considera i suoi pezzi (almeno alcuni, come ovvio) interessanti da un punto di vista musicale, in grado di intercettare in modo intelligente alcune delle nuove tendenze musicali italiane ed europee. Sviluppandole o almeno provandoci nella linea di una tradizione – quella napoletana – che per essere salvaguardata deve essere anche sempre aggiornata.
Eppure, una riflessione specifica sulla lingua utilizzata da questo artista e da altri – come sollecitato pur con asprezza da Maurizio de Giovanni – va fatta. Che napoletano è quello cantato e scritto da Geolier? Nessuno pretende una riedizione di Salvatore Di Giacomo o dello stesso Pino Daniele, ormai da considerare un classico al pari degli straordinari parolieri che costruirono il mito della canzone napoletana a cavallo fra il XIX e il XX secolo. Qui non si tratta di replicare il passato o fare impossibili paragoni con l’arte di Eduardo De Filippo, che decenni fa varcò il Garigliano per conquistare il mondo.
Da napoletano cresciuto a Napoli e consapevole di differenze che sono sempre esistite nell’utilizzo del dialetto persino fra quartiere e quartiere, siamo arrivati a una forma di volgarizzazione dei toni e dei suoni che può trovare un parallelo solo in un episodio di Gomorra. Nulla a che vedere con il napoletano in quanto tale, a meno dallo spingersi a stabilire che il “nuovo” napoletano sia questo. Cosa che non crediamo, perché ci appare più che altro la “lingua” diventata di uso comune in particolare fra ragazzi imbevuti di una sorta di controcultura alla partenopea. Una lingua che riflette un’idea di napoletanità “contro” il resto del mondo, l’esatto opposto di quella che è sempre stata Napoli e la sua cultura: profondamente aperta, tollerante, meticcia, figlia di un melting pot e di una storia impareggiabili. Lo stesso Geolier, che sottolinea di aver posto come condizione per partecipare al Festival di Sanremo quella di cantare in napoletano lo fa con accenti quasi arrabbiati, di rivalsa. Non si capisce contro chi o che cosa. Di sicuro è un ragazzo emerso da realtà sociali non semplici e parte della sua forza risiede proprio in un sacrosanto desiderio di riscatto. Se però tutto questo dovesse essere incanalato in un’idea di Napoli, di napoletanità e del napoletano avulso dal passato e dalla tradizione non ci guadagnerebbe proprio nessuno.
Riadattare va benissimo, ma senza perdere di vista radici e rispetto. Sbaglieremo, ma abbiamo la sensazione che Maurizio de Giovanni abbia voluto dire questo e da profondo conoscitore della tradizione musicale napoletana qual è – vero e proprio filologo e storico in materia – eviteremmo accuratamente di polemizzare contro di lui “a schiovere”.
Di Fulvio Giuliani
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