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Alessandra Toni, tra Vienna e i tasti del pianoforte

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Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la pianista Alessandra Toni sulla sua carriera e sulla sua vita a Vienna

Alessandra Toni

Alessandra Toni, tra Vienna e i tasti del pianoforte

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la pianista Alessandra Toni sulla sua carriera e sulla sua vita a Vienna

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Alessandra Toni, tra Vienna e i tasti del pianoforte

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la pianista Alessandra Toni sulla sua carriera e sulla sua vita a Vienna

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Alessandra Toni è una pianista e compositrice italiana, specializzata in musica neoclassica e crossover. Attualmente residente a Vienna, la sua carriera artistica nasce da una passione profonda che supera i confini dei generi musicali, unendo influenze di new age e colonne sonore. La sua musica si distingue per una combinazione unica di audacia melodica, dinamismo e, soprattutto, una intensa profondità emotiva.

Ogni composizione di Alessandra Toni è un’espressione tangibile di emozioni che vanno oltre le parole. Come in un discorso, dove le pause e i cambiamenti di intonazione servono a sottolineare i momenti più significativi, Alessandra utilizza un dinamismo unico per dare risalto a questi istanti cruciali attraverso le sue note.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Alessandra in occasione per sapere qualcosa di più della sua carriera e del suo ultimo disco “The Best Chapter”.

Come ti sei avvicinata alla musica e alla composizione?

Ho studiato pianoforte da piccola e sono arrivata a conseguire quella che allora si chiamava “licenza di teoria e solfeggio”, l’equivalente di un diploma di scuola media musicale. In seguito, ho ottenuto il diploma in pianoforte, che oggi corrisponderebbe a una laurea.
Con l’inizio delle scuole superiori, però, studiavo tre lingue più economia, e purtroppo non avevo più il tempo per esercitarmi cinque ore al giorno. Così ho dovuto accantonare il percorso pianistico formale, anche se ho iniziato a comporre musica. Non sono andata avanti a prendere titoli musicali, ma mi sono dedicata invece agli studi universitari: ho conseguito un dottorato in lingue e, successivamente, una laurea in psicologia. Oggi sono anche abilitata come psicologa.

Dal 1º gennaio 2022 mi sono trasferita a Vienna. Qui si è risvegliato il mio lato musicale: in Italia, un amico – che poi è diventato quasi il mio manager, lavorava per Metatron – mi aveva detto che il loro settore “Classic” cercava una pianista. Di solito i pianisti sono uomini, ma stavolta volevano una donna che sapesse suonare bene e avesse anche una certa presenza scenica.
Nel frattempo, vivendo a Vienna e sentendomi più ispirata, avevo composto molti nuovi brani. Inoltre, sempre qui, ho conosciuto quello che poi è diventato il mio produttore: anche lui pianista e compositore, di origini italo-iraniane. Grazie al suo supporto siamo riusciti a realizzare il primo album.

I tuoi studi paralleli al mondo della musica ti hanno aiutata in qualcosa quando poi hai iniziato a comporre?

La psicologia mi ha aiutato tantissimo a capire il perché del mio modo di comporre, e soprattutto cosa desidero trasmettere con la mia musica. Ad esempio, in molti dei miei brani — anche se forse non si nota subito — c’è spesso una parte finale, che potremmo chiamare “bridge”, dove tutto diventa più esplosivo. È il momento in cui le emozioni raggiungono il picco, una sorta di liberazione emotiva.

La mia musica è molto dinamica proprio per questo: voglio trasmettere una gamma di emozioni che si muove, che evolve, che sorprende. Non è musica da “ascensore”, non è statica o di semplice sottofondo. C’è una ricerca dietro, anche psicologica, per far emergere le sfumature più profonde delle sensazioni.

Da qualche tempo vivi a Vienna, com’è l’atmosfera per una musicista?

Diciamo che Vienna è davvero la capitale della musica, la respiri ovunque, la vedi in ogni angolo. C’è stato un evento in particolare — anche se purtroppo non lo rifanno più — che si chiamava Open Piano: mettevano un pianoforte a coda in luoghi simbolici, come ad esempio in piazza del Duomo, e chiunque poteva avvicinarsi e suonarlo. È stato proprio lì che ho capito di non volermi più fermare.

Così ho iniziato a fare nuove conoscenze, ho cominciato a pubblicare anche qualche video su YouTube, giusto per iniziare a farmi vedere. Poco dopo è arrivata la proposta di collaborazione. Nel frattempo, quasi per caso, ho conosciuto quello che è poi diventato il mio produttore. È stata una coincidenza fortunata: per lui è stata la prima esperienza da produttore, perché di norma è anche lui un pianista.

E da lì sono partiti anche i primi concerti. Ora, il secondo album è già pronto.

Qualche altro progetto in cantiere?

E poi c’è anche un piccolo progetto intermedio. A proposito di uscite — ne avrò ben undici in una sola settimana — tra queste ci sarà un brano che uscirà con un’altra etichetta.
Oltre alle canzoni che pubblico con la mia etichetta principale, ce n’è una in collaborazione con Ad21, un’etichetta gestita da un compositore di Barcellona. Lui stava portando avanti un progetto chiamato “Woman Muse Series“, in cui cercavano solo musiciste donne per pubblicare dei singoli nello stile del pianoforte calmo, musica più da background.

Pensi che la tua musica funzioni meglio in un contesto come Vienna oppure qua in Italia?

Forse quello che faccio funziona di più in Italia rispetto a Vienna, perché lì sono molto focalizzati esclusivamente sulla musica classica. Diciamo che le occasioni per proposte un po’ più ibride o contemporanee sono meno frequenti, proprio perché c’è un’impostazione molto “old school”.
Però ho avuto l’occasione di suonare anche lì: ho tenuto un concerto a Vienna il 25 gennaio, e durante la serata ho voluto proporre un piccolo esperimento psicologico che avevo già testato a Milano fino a ottobre.

Chi voleva poteva scrivere su un foglio un pensiero legato a quello che aveva ascoltato: un’emozione, un’immagine, un complimento… anche solo per catturare l’attenzione in modo più profondo. È stato davvero bello. Una ragazza, per esempio, mi ha scritto qualcosa per 12 dei 14 brani che avevo suonato. E devo dire che, dai feedback ricevuti, i brani sono stati più o meno tutti apprezzati allo stesso modo, con un livello di risposta molto equilibrato.

Se dovessi indicarci un paio di brani dal tuo ultimo disco, “The Best Chapter”, quali ci sceglieresti?

“Secret Song”, che pur essendo una delle più vecchiotte è anche la più rappresentativa, e “Hidden Answers”, che era stato scelto come terzo singolo.

In quella canzone c’è proprio un dialogo interiore: sai già qual è la risposta finale a una determinata situazione, ma ti illudi che possa andare diversamente. Anche la melodia sembra costruita come un botta e risposta tra due persone che parlano per sempre.

Ho avuto anche l’occasione di girare i video in posti diversi, ed è stato strano. Il primo, quello di “Secret Song”, l’ho girato a Vienna, vicino a un lago. Il video di “Forbidden”, invece, è stato girato a Dubai. Mentre per “Hidden Answers”, mi trovavo già in Islanda per un altro concerto, nell’ottobre del 2000, e ne ho approfittato per girare lì. È venuto molto bene.

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