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“Amici miei” compie 50 anni

“Amici miei” – primo film della saga che usciva in Italia mezzo secolo fa – porta con sé la sapidità, la cattiveria e il rinculo del ridere che sono i segni del grande cinema di Mario Monicelli

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“Amici miei” compie 50 anni

“Amici miei” – primo film della saga che usciva in Italia mezzo secolo fa – porta con sé la sapidità, la cattiveria e il rinculo del ridere che sono i segni del grande cinema di Mario Monicelli

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“Amici miei” compie 50 anni

“Amici miei” – primo film della saga che usciva in Italia mezzo secolo fa – porta con sé la sapidità, la cattiveria e il rinculo del ridere che sono i segni del grande cinema di Mario Monicelli

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“Amici miei” – primo film della saga che usciva in Italia mezzo secolo fa – porta con sé la sapidità, la cattiveria e il rinculo del ridere che sono i segni del grande cinema di Mario Monicelli

Una Firenze quasi mai assolata ma grigia, manco fosse Torino. Gli amici, 4+1. Un giornalista, un conte senza una lira, un architetto, un professore di medicina pieno di soldi, un barista. Cinque vite che si incrociano all’insegna di un unico denominatore: comunque sia andata, ma che bello stare insieme. Divertiamoci. O perlomeno proviamoci. Scaturito da un’idea di Pietro Germi, che non ce l’ha fatta a realizzarla perché la vita è sempre intempestiva, “Amici miei” – primo film della saga che usciva in Italia mezzo secolo fa – porta con sé la sapidità, la cattiveria e il rinculo del ridere che sono i segni del grande cinema di Mario Monicelli. Dentro c’è tutto. Anzi, di più. Il rimpianto, la morte. La seduzione. Lo sberleffo. Ma soprattutto la zingarata, termine che omaggia definitivamente il gusto dell’essere un po’ zingari, ovvero di non accettare 365 giorni all’anno le regole della vita borghese.

Ecco allora messi in scena, in sequenze che sono ancora oggi d’una attualità sconcertante, tutti i pernacchi possibili. Gli schiaffi a chi parte in treno e s’affaccia al finestrino, la passione per le donne, le imbucate alle feste e – come nelle satire migliori – persino un funerale. Quello del giornalista Perozzi, a cui i 4 amici tributano il migliore saluto possibile. Nella camera ardente, dopo che la moglie, senza versare una lacrima, dice per lei non è morto nessuno e se ne va, risponde il coro unanime dei 4 sopravvissuti: «A me piaceva». E fanculo alla moglie.

di Il Duca Minimo

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