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“Anora”, una settimana per sognare

La nostra recensione di “Anora”, la pellicola che ha vinto l’Oscar per il miglior film, miglior regia, miglior montaggio, miglior attrice protagonista e miglior attore non protagonista. Articolo pubblicato sull’edizione cartacea de La Ragione il 30 ottobre 2024

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“Anora”, una settimana per sognare

La nostra recensione di “Anora”, la pellicola che ha vinto l’Oscar per il miglior film, miglior regia, miglior montaggio, miglior attrice protagonista e miglior attore non protagonista. Articolo pubblicato sull’edizione cartacea de La Ragione il 30 ottobre 2024

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“Anora”, una settimana per sognare

La nostra recensione di “Anora”, la pellicola che ha vinto l’Oscar per il miglior film, miglior regia, miglior montaggio, miglior attrice protagonista e miglior attore non protagonista. Articolo pubblicato sull’edizione cartacea de La Ragione il 30 ottobre 2024

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La nostra recensione di “Anora”, la pellicola che ha vinto l’Oscar per il miglior film, miglior regia, miglior montaggio, miglior attrice protagonista e miglior attore non protagonista. Articolo pubblicato sull’edizione cartacea de La Ragione il 30 ottobre 2024

Non esistono scorciatoie: bisogna abbracciare il proprio destino e accettare sé stessi. Arriva il 7 novembre nelle sale italiane “Anora” del regista statunitense Sean Baker, presentato al 77esimo Festival di Cannes, dove ha vinto la Palma d’oro. Dal mondo delle prostitute di West Hollywood e dei sogni di bambini tra i motel fatiscenti della Florida, Baker torna con una storia di crescita e riscatto. Di tensioni sociali e aspirazioni materiali, narrate con il suo autentico punto di vista.

Anora (l’attrice Mikey Madison) è una 23enne che si arrangia per poter andare avanti. Cresciuta senza padre e con una madre assente, vive a Brooklyn e si mantiene lavorando in uno strip club di Manhattan. Grazie ai racconti della nonna uzbeca sa parlare anche il russo. Così una sera le viene assegnato un cliente particolare: Vanja (l’attore Mark Ėjdel’štejn), giovane rampollo di un potente oligarca. Emblema della spensieratezza e del privilegio, un 21enne viziato che vive di emozioni frivole e sfuggenti. L’offerta che le fa – 15mila dollari per fingere di essere la sua fidanzata per una settimana – diventa per Anora una fuga improvvisa dalla realtà. Un biglietto per un inaspettato viaggio da sogno.

Il rapporto fra i due, inizialmente superficiale, si evolve poi in una dinamica di intimità sottile e complessa. In cui alla risata provocata dal filo narrativo e comico della trama è alternata la tensione di un rapporto squilibrato e non ben definito. Se da un lato è la possibilità di guadagno a spingere Anora a dire sì, dall’altro emerge una sincerità di sentimenti inattesa. Con il suo spirito giocoso e naïf, Vanja risveglia in lei dolcezza e felicità che sembravano dimenticate. E ciò che doveva essere una settimana di convenienza diventa una proposta di matrimonio a Las Vegas, che Anora accetta senza esitare.

Quando però i genitori di Vanja lo vengono a sapere (e, peggio ancora, quando scoprono il mestiere di ‘Ani’) vanno su tutte le furie. E ordinano al loro faccendiere armeno di risolvere la questione: impegnato altrove, manderà in missione due suoi tirapiedi. Sulla vena comica che attraversa la sceneggiatura ci sono anche questi personaggi secondari e fondamentali. Che aggiungono un tocco di black humour surreale e grottesco ed esaltano la straordinaria capacità della pellicola di equilibrare leggerezza e drammaticità. Senza perdere questa cifra stilistica, la storia si sviluppa tra adrenalinici inseguimenti e colpi di scena.

Sean Baker – che ha firmato sceneggiatura, regia e montaggio – riesce a esplorare le pieghe della società americana con profondità e uno stile registico libero, preciso ed efficace. In scena va una commedia stratificata, tra scene thriller, di crudo realismo sociale e di sesso esplicito, che mettono a nudo le illusioni. Visivamente la pellicola è influenzata dai film della New Hollywood e da quelli europei (soprattutto italiani) e giapponesi. Ogni fotogramma è illuminato con precisione, elegante ma crudo, e si adatta all’ambiente urbano decadente di Brooklyn e al kitsch luminoso di Las Vegas, con una fotografia che alterna le tonalità delle diverse realtà e dei sogni che rappresentano per i protagonisti. Anche così si gioca con il mito del ‘sogno americano’ e con gli archetipi della commedia romantica: c’è sempre possibilità di riscatto, ma non va costruita su un castello di carta.

Di Edoardo Iacolucci

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