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Biancaneve e il sovversivo Walt Disney

Per comprendere appieno la dimensione artistica di Walt Disney basterebbe guardare “Biancaneve”
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Biancaneve e il sovversivo Walt Disney

Per comprendere appieno la dimensione artistica di Walt Disney basterebbe guardare “Biancaneve”
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Biancaneve e il sovversivo Walt Disney

Per comprendere appieno la dimensione artistica di Walt Disney basterebbe guardare “Biancaneve”
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Per comprendere appieno la dimensione artistica di Walt Disney basterebbe guardare “Biancaneve”

Per comprendere appieno la dimensione artistica di Walt Disney, la sua straordinaria dote di attingere dal patrimonio delle fiabe e di cogliere il più bel fiore dalla storia dell’arte, basterebbe guardare “Biancaneve”. Progettato nel 1934 per due milioni di dollari d’investimento e distribuito nelle sale statunitensi il 4 febbraio 1938, “Snow White and the Seven Dwarfs”, diretto da David Hand, è stato non soltanto il primo lungometraggio in rodovetro. “Biancaneve” ha segnato una svolta nel cinema: dimostrò che gli animatori potevano competere con gli attori ad armi pari; fece capire a tutti che il disegno animato non aveva nulla da invidiare ai film dal vero.

Fu un’idea sovversiva quella di Disney, che riuscì ad andare ben oltre l’opera dei fratelli Grimm, prendendo le distanze anche dai modelli iconici che allora andavano per la maggiore, come quello dell’illustratore tedesco Franz Jüttner. Tanto per cominciare, Disney fece un gran lavoro di arricchimento sui nani, ai quali conferì una particolare personalità e una precisa caratterizzazione fisionomica. Per la bellezza di Biancaneve strizzò l’occhio a Betty Boop, che in quegli anni era all’apice della fama, mettendo da parte però i lineamenti eccessivi e la carica erotica. Accurato fu il lavoro sulla perfida matrigna Grimilde: il modello di riferimento, come ha dimostrato Stefano Poggi, è stato il ritratto di Uta di Ballenstedt (che è poi fra tutte le donne della storia dell’arte la sola con cui sarebbe andato a cena, a suo dire, Umberto Eco), la quale abbellisce il coro del Duomo di Naumburg. Scoperto l’inganno del cacciatore, l’algida matrigna si trasforma in una strega che ricorda vagamente quelle dipinte dal Goya sulle pareti della Quinta del Sordo. Il turrito castello della regina cattiva è chiaramente ispirato a quello di Neuschwanstein, fatto costruire dal re Ludovico II di Baviera.

Fra le altre felici invenzioni di Walt Disney impossibile dimenticare la foresta animata in cui scappa terrorizzata Biancaneve, che ricorda alcune opere di Gustave Doré e Arthur Rackham, come pure la selva dei suicidi della “Divina Commedia”. Siamo lontani dagli alberi di una delle “Silly Symphony” del 1932: è un cinema maturo. D’altronde, ai censori che classificarono “Biancaneve” come prova troppo dura per i più piccoli, Disney con sprezzante soddisfazione replicò: «Io non ho fatto un film per bambini. L’ho fatto per il bambino che c’è in ogni adulto». Una scelta vincente. “Biancaneve” scombussolò lo status finanziario degli Studios: nel 1937 il guadagno fu di un milione 565mila dollari; l’anno dopo il totale fu quasi il triplo. Senza contare le diverse lauree ad honorem conferite a Disney dalla Yale e dalla Harvard University. Durante uno di questi eventi Walt rievocò un viaggio in treno – «Dissi a degli sconosciuti che facevo disegni animati. Fu come se avessi detto “Pulisco i cessi” o qualcosa del genere» – e ammise che il ricordo di quegli scettici in vagone rese più grande la soddisfazione che provò al successo di “Biancaneve”.

Di Cristina La Bella

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