Billie Holiday, la signora che cambiò il jazz
Non fu un’infanzia facile quella di Eleanora Fagan, più tardi conosciuta come Billie Holiday, una tra le cantanti più famose al mondo
Billie Holiday, la signora che cambiò il jazz
Non fu un’infanzia facile quella di Eleanora Fagan, più tardi conosciuta come Billie Holiday, una tra le cantanti più famose al mondo
Billie Holiday, la signora che cambiò il jazz
Non fu un’infanzia facile quella di Eleanora Fagan, più tardi conosciuta come Billie Holiday, una tra le cantanti più famose al mondo
Non fu un’infanzia facile quella di Eleanora Fagan, più tardi conosciuta come Billie Holiday, una tra le cantanti più famose al mondo
Non fu un’infanzia facile quella di Eleanora Fagan, più tardi conosciuta come Billie Holiday. Nata il 7 aprile 1915 a Philadelphia in un contesto familiare non ancora del tutto chiarito e trapiantata in diversi riformatori, sin dalla prima adolescenza fece lavori difficili. Unica luce in un periodo buio, tormentoso erano le canzoni di Louis Armstrong e Bessie Smith. Nel 1929 la troviamo a New York come interprete nei nightclub di Harlem. È il 1932 quando fra il pubblico del Covan’s c’è il celebre produttore John Hammond, venuto ad ascoltare Monette Moore, sostituita quella sera proprio da Billie Holiday. È un colpo di fulmine artistico: Hammond la fa debuttare a livello discografico a soli diciott’anni, nel novembre 1933, con “Your Mother’s Son-In-Law” e “Riffin’ the Scotch”. Dirà in seguito: «Il suo canto ha quasi cambiato i miei gusti e la mia vita musicale, perché è stata la prima ragazza che ho incontrato capace di cantare davvero come un genio del jazz improvvisato».
Non è quindi un caso che Billie Holiday figuri al quarto posto nella classifica dei 200 cantanti più grandi di sempre di “Rolling Stone” (2023), alle spalle di autentici mostri sacri come Aretha Franklin, Whitney Houston, Sam Cooke. La carriera della Holiday è, intanto, in piena ascesa (memorabile il duello che si era ingaggiato con l’amica-rivale Ella Fitzgerald) quando le arriva sul tavolo la proposta di incidere “Strange Fruit”, composta da Abel Meeropol, poeta ebreo membro del Partito comunista americano. Meeropol era stato ispirato da una foto agghiacciante di Lawrence Beitler che ritraeva l’impiccagione di Thomas Shipp e Abram Smith in Indiana. “Strange Fruit” – che “Time” considera «la canzone del XX secolo» – è un pezzo contro il linciaggio degli afroamericani, paragonati ai frutti degli alberi. Secondo il “New York Times” è il vero atto d’inizio del movimento dei diritti civili. «Gli alberi del Sud danno uno strano frutto, / sangue sulle foglie e sangue sulle radici, / corpo nero che dondola nella brezza del Sud, / strano frutto appeso agli alberi di pioppo». Inutile dire che il potere simbolico-evocativo della canzone è fortissimo.
Holiday esegue per la prima volta “Strange Fruit” al Café Society, nei pressi del Greenwich Village, nel 1939. Un momento di catarsi collettiva: silenzio raggelante e, a ruota, una cascata di applausi. Il brano fu registrato il 21 marzo, ma non per la Columbia Records (l’etichetta di Hammond) – che probabilmente la riteneva troppo perturbante e lontana dallo stile consueto della Holiday – bensì per la Commodore, una casa discografica ebrea. “Strange Fruit” diede la fama internazionale a “Lady Day” (chiamata così per le caratteristiche gardenie bianche fra i capelli), la cui notorietà tocca negli anni Quaranta e Cinquanta il suo apice grazie a una vocalità imprevedibile e dal vigoroso impatto emotivo. Tuttavia, le ferite della giovinezza riemergono a flussi continui. Fra successi folgoranti nelle esibizioni live, guai con la legge e disgrazie varie, alla Holiday è diagnosticata la cirrosi epatica nel 1959, anno in cui muore prematuramente non senza aver subìto altre umiliazioni. Nel 1972 Diana Ross interpreterà la sua parte nel film autobiografico “La signora del blues”.
di Alberto Fraccacreta
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