Bob Dylan a Milano, sul palco il Novecento
Bob Dylan a Milano, sul palco il Novecento
Bob Dylan a Milano, sul palco il Novecento
Sono le 21 spaccate al Teatro Arcimboldi di Milano quando le luci si spengono per lasciare spazio al buio. Quando il palco si riaccende (una serie di led colorati che delimitano l’intero intimo set) e mentre le prime note ruggiscono, Bob Dylan è già al centro, seduto dietro al pianoforte che lo nasconde quasi completamente: un tutt’uno per l’intera durata del concerto. Un’ora e quarantacinque minuti di musica, una galoppata senza pause – se non per un veloce «Grazie, grazie» – che delimita uno spazio temporale a sé, un non luogo in cui ci si ritrova seduti al bancone di un club fra le luci fioche, le sigarette accese e la musica a fluire da un palchetto mal assortito.
C’è della magia nel fluire dei brani della set list, in cui il blues compenetrato al rock dell’ultimo disco la fa da padrone in una sorta di mantra, con la voce cupa di Dylan a recitare i versi mistici dello sciamano. Qualche picco là dove il fluire si blocca, nelle ballad e nelle cover, fra gli applausi e l’incredulità d’aver sentito un brano in più (18 e non 17): un regalo inatteso da quello che fu il menestrello del rock e che – a 82 anni, seduto a fatica sul palco – incarna un pezzo di storia della musica che seppe dar voce a ideali e sentimenti, ma che oggi è sempre più fatalmente dimenticata. Non troverete testimonianze video del concerto, gli smartphonesono stati tutti imbustati all’entrata: la luce di uno schermo acceso avrebbe spezzato l’incantesimo. Su quel palco c’era il Novecento.
di Federico Arduini
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche