Bruce Springsteen e la poetica del tempo
L’atteso concerto che ha lasciato senza fiato di Bruce Springsteen ieri sera: 70.000 persone e una promessa: “We’ll come back”
        
        		
				
	
		
	
		
        
	
		
	
		
        
        
    
 
Bruce Springsteen e la poetica del tempo
L’atteso concerto che ha lasciato senza fiato di Bruce Springsteen ieri sera: 70.000 persone e una promessa: “We’ll come back”
        
                        		
				
	
		
	
		
        
	
		
	
		
        
        
    
Bruce Springsteen e la poetica del tempo
L’atteso concerto che ha lasciato senza fiato di Bruce Springsteen ieri sera: 70.000 persone e una promessa: “We’ll come back”
        
                        		
				
	
		
	
		
        
	
		
	
		
        
        
    
AUTORE: Fulvio Giuliani
Non scrivevo di Bruce Springsteen dai tempi delle polemiche (giustificate, personalissima opinione come sottolineai all’epoca) per l’inspiegabile silenzio al concerto di Ferrara sul disastro di quei giorni in Romagna. Ieri sera, con altre 70.000 persone, sono tornato ad ammirarlo dal vivo sette anni dopo il tour 2016.
Teatro di uno dei live per eccellenza della storia del rock non l’iconico San Siro, ma un pratone del parco di Monza.
San Siro è San Siro e un prato resta un prato, che toglie forza e contesto, ma per fortuna anche Bruce è Bruce e si conferma tale a dispetto degli anni. La poetica di Springsteen, del resto, si accompagna ormai da tempo a quella del suo pubblico, fenomenale e dolce spaccato capace di abbracciare almeno tre generazioni. Un record condiviso con pochissimi eletti.
Guardarsi intorno vale di per sé il prezzo del biglietto: i bambini portati dai loro genitori e in alcuni casi persino dai nonni un po’ a forza – ammettiamolo – ma in un rito di “iniziazione“ musicale che riflette tutto l’amore e i ricordi di che con questo artista è cresciuto.
Le donne e gli uomini che arrivano trafelati dall’ufficio sostituendo cravatte e giacche con le magliette d’ordinanza vecchie ormai di decenni. Le “sciure” che tengono il tempo con contegno, ma non troppo, osservando il loro idolo coetaneo. Coppie che si tengono per mano come quarant’anni fa, in quel lontanissimo e mitico concerto di Milano di cui ancora oggi si vendono come cimeli i poster.
Sul palco, lui e la E Street Band di sempre, rinforzata da una spettacolare sezione di fiati – la E Street Horns – e fantastiche voci di supporto. Springsteen compirà 74 anni a settembre, continua giocare con le sue espressioni istrioniche e a fine concerto non rinuncia a mostrare i pettorali in forma assolutamente invidiabile. Allo stesso tempo, ha lasciato saggiamente ingrigire i capelli – rinunciando alle tinte totali di altri – per la prima volta un accenno di umanissima pancetta fa capolino e la mobilità di un tempo sul palco è un ricordo. La voce accusa qualche passaggio imperfetto e dispiace averlo notato in un momento atteso come “Born to Run“, ma resta il passaporto per i sogni di mezzo secolo, americani e non.
Il tour 2023 vive di un’impronta struggente e malinconica che fa capolino con regolarità nei passaggi più intimi. Quelli più sentiti da Bruce e non a caso tradotti in italiano sui mega schermi. I ricordi di chi non c’è più, il peso inesorabile del tempo, le riflessioni sulla morte: solo Springsteen le può vivere con questa naturalezza in un mega raduno di rockettari dai 7 ai 77 anni. Come la jam session a metà show o la cover di “Nightshift” dei Commodores. Tutto insieme, tutto logico nella poetica che affonda le sue radici in mondi ormai perduti.
Si chiude con una promessa, che ormai assume i toni della fede, perché il tempo è qui e non ci resta che ignorarlo: “We’ll come back”, assicura piano Bruce ed è l’ovazione più alta che si perde nel cielo del parco
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