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Bugonia, uomini alienati. Il nuovo film di Yorgos Lanthimos

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Un ronzio di api attraversa “Bugonia”. Un suono sordo, invisibile: è un alveare in rivolta. Lanthimos firma un film al tempo stesso emblema di una parabola ed esperimento di laboratorio

Bugonia, uomini alienati. Il nuovo film di Yorgos Lanthimos

Un ronzio di api attraversa “Bugonia”. Un suono sordo, invisibile: è un alveare in rivolta. Lanthimos firma un film al tempo stesso emblema di una parabola ed esperimento di laboratorio

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Bugonia, uomini alienati. Il nuovo film di Yorgos Lanthimos

Un ronzio di api attraversa “Bugonia”. Un suono sordo, invisibile: è un alveare in rivolta. Lanthimos firma un film al tempo stesso emblema di una parabola ed esperimento di laboratorio

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Un ronzio di api attraversa “Bugonia”. Un suono sordo, invisibile: è un alveare in rivolta. Lanthimos firma un film al tempo stesso emblema di una parabola ed esperimento di laboratorio: una fiaba nera sul complottismo come forma di ‘salvezza’, sull’America come luogo dove il delirio diventa metodo e sulla fragile linea che separa la paranoia dalla rivelazione.

La pellicola, remake di “Save the Green Planet!” del sudcoreano Jang Joon-hwan, nasce dalla sceneggiatura di Will Tracy e prende corpo con la produzione di Lars Knudsen (già sodale di Ari Aster), ma è inequivocabilmente di Lanthimos. Se “Eddington” di Aster si perde tra i fili di una ricerca estetica, “Bugonia” si affida alle idee. Due film che conversano a distanza nella stessa solitudine contemporanea.

Qui il regista greco abbandona l’Europa dei suoi labirinti interiori e sprofonda nel ventre mitologico della Georgia americana, senza perdere la sua ossessione per l’umano deformato, per la logica che implode in follia, per il grottesco specchio del reale.

Teddy Gatz (un Jesse Plemons commovente e disturbante) vive nella certezza che la verità sia un puzzle nascosto su Internet. È un uomo che ha smesso di fidarsi della scienza, dei governi e del caso. Col cugino Don (Aidan Delbis), rapisce Michelle Fuller (Emma Stone, magnetica e ambigua), ceo di una multinazionale farmaceutica. La crede un’aliena, emissaria degli Andromediani venuti a colonizzare la Terra. Mentre la Luna si prepara all’eclissi, Teddy costruisce nel suo scantinato un altare di detriti e ossessioni.

Se “Save the Green Planet!” nel 2003 era un film visionario, “Bugonia” di Lanthimos è drammaticamente attuale. Teddy va in scena con una tenerezza disperata: il suo complotto non è solo follia, è un modo per dare senso al caos. Il formato 4:3 (quello delle vecchie televisioni) accentua la claustrofobia e isola i personaggi in cornici umane. L’atmosfera richiama l’estetica suburbana di Steven Spielberg e i racconti incantati di Stephen King – biciclette, camerette, sottotetti e luci tremanti – ma non si tratta di una semplice scelta estetica o nostalgica. È una scelta etica. Come se il sogno dei ragazzi degli anni Ottanta si fosse oggi trasformato in un incubo: non più guidata, l’ingenuità di quel mondo si è smarrita prendendo una direzione sempre più torbida e impervia col passare del tempo.

Non ci sono più alieni con cui condividere un sogno – come in “E.T. L’extra-terrestre” – ma ‘alieni’ da sequestrare in un oscuro sottoscala tarantiniano. Il registro cinematografico e l’atmosfera diventano così parte integrante della narrazione: parlano quanto la sceneggiatura stessa. Un atto concettuale, sorprendente, forse l’unico vero elemento – insieme in parte al finale – che distingue questa versione dall’originale sudcoreano.

La messa in scena di Lanthimos è come sempre un teatro di crudeltà. I corpi dei personaggi oscillano tra automatismo e trance, ogni dialogo è una partita a scacchi tra credenza e inganno. In una sequenza in bianco e nero, che cita apertamente “8½” di Fellini, la memoria di Teddy si sfalda in immagini di infanzia e di colpa. Così Lanthimos ricorda che la follia non è mai del tutto aliena: è una risposta distorta al dolore.

L’ironia che il regista mette sempre in scena in questo caso sa di disperazione. Il suo sguardo resta empatico, sembra affettuoso verso chi ha perso l’orientamento in un mondo che cambia troppo in fretta. Teddy non è un mostro, ma un uomo che ha bisogno di un nemico per sentirsi vivo; Don è la sua eco ingenua; Michelle, con la calma glaciale di Stone, diventa simbolo del potere disumano che reagisce solo quando è minacciato. Lanthimos costruisce così una distopia che serve a leggere l’attualità.

“Bugonia” parla della frattura tra chi ce l’ha fatta e chi non sa più dove collocarsi, tra il progresso che promette salvezza e la paura che trasforma ogni progresso in complotto. Sarà vero?

di Edoardo Iacolucci

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