A letto dopo Carosello, nascita e tramonto di un appuntamento cult
A letto dopo Carosello, nascita e tramonto di un appuntamento cult
A letto dopo Carosello, nascita e tramonto di un appuntamento cult
Sul finire degli anni Cinquanta la Rai si trova davanti a un problema. La televisione è entrata ormai nella quotidianità degli italiani, con la conseguente necessità di offrire allo spettatore un palinsesto sempre più ricco e variegato. Il rovescio della medaglia è rappresentato però dall’aumento dei costi di produzione. La soluzione ci sarebbe: ricorrere agli investitori pubblicitari, sul modello di quanto già accade all’estero. Ma non si può, perché la legge non consente all’emittenza pubblica di fare promozioni commerciali all’interno dei propri programmi. Qui entra in gioco il regista e sceneggiatore Luciano Emmer con la soluzione per aggirare l’ostacolo: crea un format di dieci minuti in cui vengono inseriti degli sketch da un minuto e 45 secondi ciascuno, gli ultimi 30 secondi dei quali sono riservati alla promozione di un prodotto. È l’uovo di Colombo: riesce a fondere l’intrattenimento con la sponsorizzazione commerciale, aggirando i divieti e creando nel contempo un nuovo programma. Lo stesso Emmer progetta l’ormai celebre sigla iniziale e la Rai – per la natura del format (ispirato al classico carosello napoletano, con quattro scenette una dietro l’altra) – decide di dargli un titolo semplice ed essenziale: “Carosello”, appunto.
Il 3 febbraio 1957 è il giorno dell’esordio. Fra i protagonisti della prima puntata vi sono fra gli altri Mike Bongiorno, Carlo Campanini e Mario Carotenuto che diventano i volti di un modo assolutamente innovativo di fare pubblicità. Il pubblico si affeziona talmente tanto al nuovo appuntamento che ogni sera (dalle 20,50 alle 21) milioni di italiani lo aspettano con trepidazione. Entra anche nel linguaggio e negli usi comuni, dato che l’espressione «A letto dopo Carosello» – riferita ai bambini – diventa una sorta di nuova regola domestica.
Alla regia e davanti alle telecamere si avvicendano i nomi principali del cinema e della tv: da Federico Fellini a Pupi Avati, da Walter Chiari a Giorgio Albertazzi, da Pier Paolo Pasolini ad Aldo Fabrizi. Già, perché “Carosello” non soltanto crea un nuovo linguaggio pubblicitario ma diventa una creatura a sé stante da un punto di vista artistico. Nell’Italia del boom economico è il termometro dei desideri di un Paese che abbraccia il consumismo e si scopre borghese, felice di esserlo. I modi dire e i volti che compaiono all’interno di “Carosello” divengono in molti casi più riconoscibili del prodotto stesso a cui fanno da testimonial (come nel caso del chitarrista jazz Franco Cerri, che diviene per tutti “l’uomo in ammollo”) e anche l’animazione diventa un veicolo utilissimo. Fanno la comparsa nuovi personaggi come Calimero o Topo Gigio che, inizialmente creati per “Carosello”, diverranno talmente popolari da arrivare a vivere di vita propria anche al di fuori di quel contesto.
“Carosello” terrà compagnia ai telespettatori fino all’1 gennaio 1977. Poi, complice l’esigenza di una comunicazione più dinamica e moderna, passerà la mano. Rimarrà una delle pietre miliari della nostra tv, al pari dei grandi ‘varietà’ e degli storici sceneggiati di casa Rai. Quell’appuntamento, entrato nelle nostre case in punta di piedi e divenuto un ospite fisso delle nostre serate, ha fatto da spartiacque nella nostra storia. Mostrandoci un pezzo di futuro che ancora non immaginavamo.
di Stefano Faina e Silvio NapolitanoLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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