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Woodstock

Ci vediamo a Woodstock

Storia di Woodstock, il primo evento musicale di massa ancora oggi ricordato e glorificato, che ha fatto la Storia in sole 72ore

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Storia di Woodstock, il primo evento musicale di massa ancora oggi ricordato e glorificato, che ha fatto la Storia in sole 72ore

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Storia di Woodstock, il primo evento musicale di massa ancora oggi ricordato e glorificato, che ha fatto la Storia in sole 72ore

Tutto parte da un annuncio pubblicato all’inizio del 1969 sulle pagine del “The Wall Street Journal” e del “The New York Times”. Il testo recita più o meno così: «Giovani uomini d’affari con capitale illimitato sono alla ricerca di interessanti opportunità di investimento e business, legali». I due businessmen altri non sono che due ragazzi di nome John Roberts e Joel Rosenman. Rispondono all’appello altri due imprenditori, Artie Kornfeld e Mike Lang. L’idea è quella di aprire uno studio di registrazione a Woodstock (contea di Ulster, vicino a New York), un luogo tranquillo dove gli artisti possano lavorare in serenità.

I quattro, poco più che ventenni, uniscono le forze e danno vita alla “Woodstock Ventures”. Per lanciare la loro iniziativa ritengono ci sia bisogno di un evento che faccia parlare di sé. Prendono quindi la decisione di mettere in piedi un festival musicale che possa fare da trampolino per la loro impresa. Denominato “An Aquarian Exposition”, il concerto è inizialmente programmato al Mills Industrial Park, nella contea di Orange. Tre giorni di rock, pace e amore per dare voce alla comunità hippy, in quel momento molto attiva contro la guerra in Vietnam. Ma a Orange quei ‘drogati’ non li vogliono. Il che – a un mese dalla manifestazione – è un bel problema, anche perché la vendita dei biglietti è già iniziata.

Ci si sposta allora a Bethel, a soli 69 chilometri da Woodstock. Il terreno lo mette a disposizione Eliott Tiber, proprietario di un motel da quelle parti Ma anche questa location non va bene, perché difficilmente potrebbe accogliere le 50mila persone previste. Allora arriva un altro protagonista: Max Yasgur, allevatore di origine greca, repubblicano di ferro, sostenitore dell’intervento americano in Vietnam, da lui ritenuto addirittura necessario. Il posto giusto ce l’ha lui: un’area di 242 ettari alle porte di Woodstock, affittabile al prezzo di 90mila dollari. Davanti a quella cifra non c’è ideale che tenga, dunque l’affare si fa.

Dal 15 al 18 agosto 1969, la location viene presa d’assalto da giovani accorsi da tutta l’America. Altro che 50mila persone, a Woodstock ne arrivano oltre mezzo milione. A quel punto il festival diviene gratuito e la cittadina alle porte di New York si ritrova presa d’assalto da una festosa invasione. Non senza problemi: le autostrade vengono bloccate, gli artisti sono costretti a raggiungere il luogo del concerto a bordo di elicotteri militari e tutto il programma subisce ritardi e imprevisti.

Ma va bene così. In quelle 72 ore si scrive la Storia. Quella di una generazione che si riunisce per far sentire la propria voce con lo scopo di buttare giù, pacificamente, quelle barriere che arginano il cambiamento. L’aspetto musicale – seppur altamente rilevante e ricco di aneddoti – in questo contesto passa quasi in secondo piano. E quando, intorno alle dieci del mattino del 18 agosto, Jimi Hendrix (ultimo artista a esibirsi) fa calare il sipario eseguendo una sua versione dell’inno americano, quei giorni a Woodstock escono dalla cronaca per entrare di diritto nella coscienza popolare. Anche Yagurs, l’uomo senza il quale quell’evento non sarebbe esistito, rivedrà le proprie posizioni affermando: «Se ci ispirassimo a questi giovani potremmo superare quelle avversità che sono i problemi attuali dell’America, nella speranza di un futuro più luminoso e pacifico».

Quel futuro non è ancora arrivato, purtroppo. Ma guardare al passato può indicarci la strada da percorrere per raggiungerlo. Più in fretta possibile.

di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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