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Non è mai troppo savana. Alberto Manzi e Orzowei

Compie 45 anni la serie televisiva tratta da un romanzo del maestro Manzi
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Non è mai troppo savana. Alberto Manzi e Orzowei

Compie 45 anni la serie televisiva tratta da un romanzo del maestro Manzi
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Non è mai troppo savana. Alberto Manzi e Orzowei

Compie 45 anni la serie televisiva tratta da un romanzo del maestro Manzi
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Compie 45 anni la serie televisiva tratta da un romanzo del maestro Manzi
«Corri ragazzo, vai e non fermarti mai!». Era questa l’esortazione che Guido e Maurizio De Angelis, i mitici Oliver Onions, cantavano nella sigla iniziale di quel successo televisivo che fu la serie “Orzowei (il figlio della Savana)”. Un brano dal coinvolgente tempo in 4 (ritmo presto mutuato dall’house music), qualche percussione, un coro dal sapore etnico e il grande successo anche discografico fu subito apparecchiato. Erano gli anni Settanta, la tv dei ragazzi dava gli ultimi colpi di coda ma ogni sera intorno alle 19 quell’appuntamento radunava milioni di ragazzini desiderosi di capire come il buon Isa (il protagonista del film) sarebbe riuscito a sfuggire a mille insidie create da belve feroci ma soprattutto da esseri umani in perenne conflitto tra loro. Orzowei” è stata una serie televisiva tratta da un breve romanzo scritto – udite udite – dal grande maestro Alberto Manzi. Sì, proprio lui: il maestro d’Italia, l’uomo che confortò milioni di italiani sostenendo che “Non è mai troppo tardi” per imparare a scrivere e parlare correttamente l’italiano (forse adesso è tardi davvero, ndr.) e che dallo schermo del primo canale Rai riuscì a coltivare e far sbocciare un paio di generazioni a proprio agio con la lingua patria. Pubblicato nel 1955, il romanzo “Orzowei” (che in lingua africana significa trovatello) è in verità un lungo racconto ricco di tematiche di assoluta attualità: il razzismo, stavolta capovolto (a discriminare questa volta sono le persone di pelle nera contro una di pelle bianca), le adozioni di fatto, il conflitto tra etnie diverse, la presenza armata del popolo boero contro i bantu (l’apartheid era stato ufficialmente introdotto pochi anni prima). Compare soprattutto una questione fondamentale: la percezione della diversità come causa di discriminazione. La magistrale penna del maestro Manzi concepisce un personaggio rifiutato in fasce dai propri genitori bianchi, che viene trovato e accolto da una tribù bantu di etnia hutzi. Questa però lo discrimina pesantemente (il suo nemico giurato è Mesei, il figlio del capo tribù) e, di fatto, lo colloca sul piano sociale più basso in quanto essere umano di pelle bianca (nonostante il protagonista abbia superato tutte le difficili prove previste per diventare un guerriero hutzi). Successivamente, dopo una serie di traversie, il protagonista (l’attore era Peter Marshall, prematuramente scomparso nel 1986 a causa di un incidente automobilistico) raggiunge una comunità di bianchi olandesi che lo discrimina in quanto lo considera troppo “selvaggio”. Solo una tribù di piccoli boscimani, in particolare il loro leader carismatico Pao, lo accoglierà come un vero figlio per portarlo alla vittoria finale contro il nemico. Rispetto alla serie televisiva, capace di raccogliere milioni di italiani davanti allo schermo e che quest’anno compie 45 anni dalla sua messa in onda, il romanzo di Manzi ha dalla sua parte una semplicità ed elementi di ecologismo poetico e garbato che ne fanno una storia per ragazzi di valore pedagogico assoluto. Com’è stato sempre nello stile del maestro più amato dagli italiani. Di McGraffio

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