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Concerti e sconcerti

Il programma del concerto di Capodanno alla Fenice di Venezia, prodotto da Rai 1, era degno di qualsiasi Proloco di paese. Uno scimmiottamento sovranista nei confronti del cugino austriaco, assai più famoso. Quando potremo sentire cose più moderne come Morricone o Rota?
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Il programma del concerto di Capodanno alla Fenice di Venezia, prodotto da Rai 1, era degno di qualsiasi Proloco di paese. Uno scimmiottamento sovranista nei confronti del cugino austriaco, assai più famoso. Quando potremo sentire cose più moderne come Morricone o Rota?
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Il programma del concerto di Capodanno alla Fenice di Venezia, prodotto da Rai 1, era degno di qualsiasi Proloco di paese. Uno scimmiottamento sovranista nei confronti del cugino austriaco, assai più famoso. Quando potremo sentire cose più moderne come Morricone o Rota?
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Il programma del concerto di Capodanno alla Fenice di Venezia, prodotto da Rai 1, era degno di qualsiasi Proloco di paese. Uno scimmiottamento sovranista nei confronti del cugino austriaco, assai più famoso. Quando potremo sentire cose più moderne come Morricone o Rota?
È un ricordo indelebile, per noi bambini negli anni Settanta, il Concerto di Capodanno trasmesso in diretta da Vienna sul primo canale Rai alle ore 12. Erano i tempi dell’indimenticabile Willi Boskovsky, l’eccentrico e simpatico direttore che a partire dal 1955, e fino al 1979, con le sue gag fece del Capodanno musicale viennese un evento destinato a sempiterna gloria, tanto che anche l’inflessibile impero sovietico permise la trasmissione televisiva del concerto, seguito poi dal nostro Festival di San Remo. Il primo Concerto di Capodanno risale al 1939, a distanza di pochi mesi dall’Anschluss e nel pieno della Seconda guerra mondiale, posto che si tenne il 31 dicembre di quell’anno. Fu un evento straordinario dedicato al Winterhilfswerk nazista, una fondazione caritatevole preposta al sostentamento della popolazione povera. Il secondo appuntamento cadde il 1 gennaio 1941 e da lì la tradizione è giunta ininterrotta fino ai nostri giorni. Superato rapidamente nel dopoguerra l’iniziale imprinting propagandistico filonazista, il concerto viennese è divenuto una sorta di rituale, una ripetizione archetipica rievocante il (falso) mito storico dell’Austria Felix accompagnato dalla nostalgica allure musicale della famiglia Strauss e succedanei. E pensare che, quando veniva composta quella musica, la nostra cultura popolare di matrice risorgimentale era accanitamente anti-austriaca, si pensi solo al mazziniano «Austria delenda est». Ma, si sa, la memoria popolare è antistorica. Dal 2004 il Concerto di Capodanno da Vienna si è ‘spostato’ in differita su Rai 2 alle 13.30. Quest’anno è stato diretto da uno stanco e svogliato Daniel Baremboim. Nel dopo Boskovsky forse solo Carlos Kleiber è riuscito a cogliere lo spirito, a ricavare un’emozione da quel fluire ininterrotto di valzer e polke che dopo 10 minuti – e diciamolo – diventa insostenibilmente palloso. Certo, il prodigioso cesello dei Wiener Phiharmoniker varrebbe da solo il prezzo del biglietto. Di sicuro molto peggio dei valzer e delle mazurke viennesi è il nostro Concerto di Capodanno dal Gran Teatro La Fenice di Venezia prodotto da Rai 1, bolso scimmiottamento in chiave involontariamente sovranista del tradizionale evento austriaco: della serie “Voi avete Strauss e noi Verdi e Puccini…”. Al netto della straordinaria bravura dei cantanti – il soprano sudafricano Pretty Yende e il tenore newyorkese Brian Jagde – i brani in programma riflettono una desolante povertà di prospettiva. Come se la tradizione musicale italiana fosse solo la lirica ottocentesca, come se non esistesse la contemporaneità. Qui non si tratta nemmeno di un eterno ritorno all’identico (perché per tornare occorre pur essere partiti e andati altrove), qui siamo ancora al fossile, a un repertorio copiaincollato dal programma di una qualsiasi Pro Loco di provincia, un classico da ‘spedizione punitiva’, prova e concerto in giornata. Che se hai una bravo soprano leggero d’agilità puoi ben spingerti nel “Je veux vivre dans le rêve” di Gounod, ma che senso può avere l’ennesima riproposizione di “Nessun dorma”, di “Padre augusto” e dei cori verdiani da “Il Trovatore” e da “La traviata”? “Di Madride noi siamo mattadori” è un brano ridicolo se tolto dal suo contesto drammaturgico. L’ineffabile speaker della Rai annunciava sommesso il debutto di Rossini (“Una voce poco fa” dal Barbiere) al concerto della Fenice: se ne deduce che per ascoltare Rota o Morricone dovremo aspettare il 2300 circa. di Fabio Torrembini

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