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Coraggio e fantasia per raccontare il mondo di oggi in tv

Grandi trionfi agli Emmy Awards ma l’Italia sembra sempre un passo indietro, eppure una volta la nostra tv era l’avanguardia mondiale.
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Coraggio e fantasia per raccontare il mondo di oggi in tv

Grandi trionfi agli Emmy Awards ma l’Italia sembra sempre un passo indietro, eppure una volta la nostra tv era l’avanguardia mondiale.
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Coraggio e fantasia per raccontare il mondo di oggi in tv

Grandi trionfi agli Emmy Awards ma l’Italia sembra sempre un passo indietro, eppure una volta la nostra tv era l’avanguardia mondiale.
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Grandi trionfi agli Emmy Awards ma l’Italia sembra sempre un passo indietro, eppure una volta la nostra tv era l’avanguardia mondiale.
Agli Emmy Awards ha trionfato, non è certo una sorpresa, “The Crown”, la straordinaria ricostruzione del lunghissimo regno di Elisabetta II d’Inghilterra. Ci fa piacere ricordare anche il successo personale di Kate Winslet, grazie alla sua monumentale performance in “Easttown”. La Winslet è un’attrice capace di cavalcare lo star system, senza esserne stritolata e fregandosene altamente dei modelli estetici e comportamentali che vanno per la maggiore. È il trionfo di un modo di fare televisione che ha di fatto annullato le distanze con il cinema, se non per la scelta dei tempi di narrazione. Il fenomeno globale di produzioni come “The Crown” o “La Casa de Papel” è determinato anche da campagne di marketing avanzatissime e super dispendiose, ma sarebbe oltremodo miope fermarsi qui. La verità è che davanti a questa televisione – che è anche cinema, ma soprattutto arte – ci sentiamo alla periferia dell’impero. Dolcemente condannati a innamorarci di storie e personaggi americani e inglesi (ma sempre di più anche spagnoli, messicani, et cetera) e colpiti dall’assenza di prodotti italiani all’altezza. Sarà poi vero? In realtà, no. L’Italia, negli ultimi anni, ha mostrato una grande vitalità nelle idee (senza le quali non si cantano messe, al pari dei quattrini) e anche una discreta capacità di investimenti. Da “Gomorra” a “Suburra”, a produzioni comedy tutt’altro che disprezzabili, fino a operazioni mirate su personaggi di particolare forza mediatica – vedi Chiara Ferragni o Francesco Totti – non si può certo dire che l’Italia abbia perso la capacità di individuare le storie o di raccontarle. Il problema è un altro: l’universo della cosiddetta televisione generalista ha ormai perso qualsiasi voglia di rischiare, accontentandosi di replicare all’infinito schemi rassicuranti per il proprio portafoglio e il pubblico o provando a inglobare artificiosamente personaggi di altri mondi, come nel recente caso di Alessandro Cattelan. Così la quasi totalità della sperimentazione, che coincide spesso con le produzioni di più alta qualità, finisce per essere prerogativa delle pay tv o dei colossi dello streaming, allargando la faglia fra chi vuole o può permettersi di pagare per vedere e chi no. Faglia che assomiglia a una voragine con le conseguenze di carattere culturale sotto gli occhi di tutti, se si ha ancora la voglia e il coraggio di accendere il televisore per qualcosa di diverso da Netflix, Sky, Prime Video, Disney+, Apple+ e compagnia bella. Non saremo certo noi a condannare l’evoluzione del mercato, ma non possiamo assistere in silenzio al progressivo appassire di una capacità produttiva che negli anni d’oro della Rai ci aveva posto all’avanguardia mondiale. Sia negli sceneggiati (veri progenitori delle grandi serie tv di oggi), che nel varietà, in cui l’Italia toccò vette all’epoca inesplorate e ancora oggi di un’eleganza e di una ricercatezza raramente eguagliate. Non c’è nulla di nostalgico in questo, al contrario è un invito pressante a riscoprire la bellezza del coraggio nel fare televisione e raccontare storie. Su mafia, camorra e santi abbiamo dato in abbondanza, possiamo fare anche dell’altro e bene. Parafrasando una bella pubblicità, i prossimi Emmy Awards sono vicini. Perché no? di Marco Sallustro

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