La fortuna in Woody Allen
La fortuna in Woody Allen
La fortuna in Woody Allen
Ancora il fato, il caso, la fortuna, tematica molto cara a Woody Allen che nel suo ultimo film Coup de Chance ne fa il cardine attorno cui si muovono le vite di Fanny, Jean e Alain in una Parigi autunnale e poetica. Fanny (Lou de Laâge) incontra per caso Alain (Niels Schneider), ex compagno del liceo, oggi scrittore bohémien, che le confessa: sono sempre stato innamorato di te. Sono sposata, precisa subito lei, ma comunque si cercano, ogni giorno e – intanto che ricordano l’adolescenza trascorsa a New York – tra i due nasce un amore clandestino di cui non possono più fare a meno. Jean (Melvil Poupaud), il marito ricco e carismatico di Fanny, ignaro di tutto, di rimando le garantisce una vita agiata, le regala gioielli e la ama alla follia. La loro routine è fatta di incontri mondani, weekend immersi nella rigogliosa campagna poco distante dalla città, cene tra coppie danarose e battute di caccia. Per una buona parte del film, la vita dei due coniugi appare banale in modo quasi sinistro, questo eccesso di prevedibilità a un certo punto inizia a sembrare una strategia preparatoria per quello che segue. Infatti, dopo un inizio un po’ prevedibile, dove domina più la bellezza di Parigi, la musica (jazz chiaramente!) e la luce carica di sfumature aranciate, figlia della maestria del premio Oscar Vittorio Storaro (cinematografo, fidato collaboratore di Allen, tra i diversi film realizzati insieme ci sono Café Society e La ruota delle meraviglie), lo scenario muta in un thriller dove entrano in scena detective privati, sospetti di una madre tenace (Valérie Lemercer) e sparizioni mai indagate con la giusta attenzione che sono prima avvisaglie e poi rivelazioni.
Tradimento, sensi di colpa, strada senza via d’uscita come in un altro dei suoi film più famosi: Match Point che inizia con questa frase: “la gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo”. E qui, sul tema del controllo che unisce queste due storie, c’è una riflessone da fare in merito a un dettaglio: un treno. Per la precisione si tratta del trenino di un modellino molto caro a Jean. Lo mostra più volte (e con grande orgoglio) alla moglie e alla suocera, perché? Perché un uomo affermato, facoltoso, che vive in un appartamento di lusso con una bellissima giovane donna, prova un tale appagamento nell’osservare il suo trenino entrare e uscire dai piccoli tunnel che ha costruito? Perché una simile fascinazione per il piccolo mondo di montagne sintetiche e binari di plastica dove può avviare e stoppare il suo giocattolo quando vuole? Jean, ripete più volte che lui la fortuna la crea, così come muove il suo trenino in un percorso circolare e circolare diventa anche la sua vita quando le azioni che compie sulle persone gli diventano necessarie per architettare la sua fortuna. Perché Jean non crede nel caso, non crede nella fortuna. Lui la fortuna la crea. La controlla, così come fa con il suo giocattolo che ovviamente – il registra newyorkese quattro volte premio Oscar – ha inserito nella scena con un preciso motivo.
Allen, al suo cinquantesimo lungometraggio (presentato fuori concorso all’80esima Mostra del Cinema di Venezia) infine, sembra volerci dire che la fortuna non scende a patti con nessuno. Parrebbe elevarsi ben oltre le dinamiche di noi esseri umani, con le sue regole, una sua personalissima ragionevolezza che non ci è permesso conoscere, e sembra affermare che non accetta forme di controllo, tanto da opporsi e ribattere con un colpo fatale contro chi tenta di governarla.
di Hilary Tiscione
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche