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Cristicchi Premio Lunezia

Simone Cristicchi vince il “Premio Lunezia per Sanremo 2025”

Simone Cristicchi ha vinto il “Premio Lunezia per Sanremo 2025” per il valore emozionale di “Quando Sarai Piccola”

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Simone Cristicchi vince il “Premio Lunezia per Sanremo 2025”

Simone Cristicchi ha vinto il “Premio Lunezia per Sanremo 2025” per il valore emozionale di “Quando Sarai Piccola”

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Simone Cristicchi vince il “Premio Lunezia per Sanremo 2025”

Simone Cristicchi ha vinto il “Premio Lunezia per Sanremo 2025” per il valore emozionale di “Quando Sarai Piccola”

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Simone Cristicchi ha vinto il “Premio Lunezia per Sanremo 2025” per il valore emozionale di “Quando Sarai Piccola”

Simone Cristicchi ha vinto il “Premio lunezia per sanremo 2025” per il valore emozionale di “Quando Sarai Piccola”. «Nell’impegno di una sola scelta indichiamo l’opera di Simone Cristicchi – ha affermato Stefano De Martino, Patron della rassegna battezzata 30 anni fa da Fernanda Pivano e Fabrizio De André un argomento umanitario e familiare a cui non aveva pensato mai nessuno per una canzone, un’elaborazione emozionante tra passato e presente del sentimento figlio-madre. Commozione annunciata con le atmosfere musicali di Simone Cristicchi».

A queste parole ha fatto seguito la motivazione del critico musicale Dario Salvatori, membro Commissione del Premio Lunezia «Una mamma che torna bambina. La vita ribalta i ruoli e le grandi trasformazioni sono terapeutiche e vivificanti. Tema universale, Simone Cristicchi è impegnato a proporre riflessioni che penetrano ed emozionano».

Nelle recenti edizioni il Premio Lunezia è stato patrocinato dal Ministero della CulturaRegione ToscanaRegione Liguria, Nazionale Italiana Cantanti Siae.

Di seguito il capitolo “Luciana”, estratto dal libro di Simone Cristicchi “HappyNext. Alla ricerca della felicità” (La nave di Teseo, aprile 2021), che racconta l’episodio che ha ispirato la scrittura del brano “Quando sarai piccola”.

Luciana

Esiste un luogo freddo, asettico, in un certo senso agghiacciante, dove il tempo è sospeso eppure scorre velocemente nel rumore ovattato dei passi, nei suoni ritmici dei monitor. Credo che sia uno dei luoghi più sacri che un uomo possa visitare, un limbo terreno dove si manifesta il grande Mistero della vita che contempla la morte. Ci si entra uno per volta, in un silenzio irreale, dopo aver atteso ore, magari pregando, ognuno a modo suo. Oltrepassi quella porta bianca, con il cuore in gola, e fai il tuo ingresso in un’altra dimensione, dove ti interroghi se esista il caso o il destino, dove per la prima volta ti ritrovi a sperare che ci sia una mano invisibile in grado di muovere Tutto e di operare miracoli. I miracoli non avvengono quasi mai, altrimenti non si chiamerebbero così, ma quel “quasi” lascia una possibilità, per quanto remota. Ti auguri che non funzioni come una lotteria, che conti il merito e non la fortuna, che la mano invisibile scelga secondo criteri suoi e che quei criteri siano gli stessi tuoi.

Il luogo non è la chiesa, è la sala di terapia intensiva. Sesto piano, per la precisione. È una domenica di settembre del 2012, quando mia madre Luciana viene colpita duramente da un’emorragia cerebrale. Ha solo 63 anni, da poco si gode la pensione, i suoi tre figli e gli adorati nipotini. Per puro caso, questa mattina è in casa da sola, ci accorgiamo delle sue condizioni molto tardi, troppo tardi. Io sono lontanissimo, in autostrada, di ritorno da un concerto al nord.

Al Pronto Soccorso, i medici non ci danno speranze: «La signora è clinicamente morta. La teniamo in vita con le macchine». Luciana, che ha sacrificato tutta la sua vita per noi e non si è mai risposata dopo la morte di mio padre, una mamma buona, sempre presente, un punto di riferimento per la famiglia: perché proprio lei?

Arrivo in ospedale di corsa, riesco a vederla solo un attimo, e già non mi sembra più la stessa: è su una barella, intubata, sembra dormire. Accanto, altri corpi addormentati, in bilico tra la vita e la morte. Fuori il mondo va avanti come se niente fosse, ma il mio cuore batte a rilento e ogni minuto che passa ho il terrore di perderla per sempre, senza nemmeno averla salutata.

Ci eravamo sentiti qualche giorno fa, una telefonata sbrigativa: «Scusa ma’, sto facendo le prove». L’idea che queste parole potrebbero essere le ultime scambiate, mi fa impazzire. Mi ricorda in modo assillante l’ultima volta che ho visto mio padre, la sua sgridata perché suonavo troppo forte, poco prima che lo portassero via.

Il dolore è insostenibile. Un minuto credo che tutto sia possibile, quello dopo che niente abbia una ragione. Niente sembra aver senso, se un signore di ottant’anni si risveglia dal coma e un ragazzo di sedici, due metri più in là, si spegne. Vivo nell’apprensione totale ma, parallelamente, si mette in moto per Luciana un’incredibile catena d’amore: sono decine, forse centinaia le persone che pregano per lei. Buddhisti, suore di clausura, sconosciuti che danno vita a un flusso di energia positiva affinché mia mamma si risvegli dal coma.

La situazione, però, si fa sempre più grave.

Quasi ogni sera riesco ad entrare in terapia intensiva, porto con me una piccola radio, le faccio sentire la musica che ama, quella degli anni Sessanta, poi la registrazione delle voci di Tommaso e Stella, i miei figli, che la chiamano. Spero che le stimolazioni sonore la smuovano, ma lei è sempre lì, distesa, immobile. «Secondo lei riesce a sentire?» chiedo al primario.

«Non lo sappiamo» risponde «Sicuramente male non le fa». Passano cinque interminabili giorni e notti in cui non chiudo occhio, pensando al peggio. Io e i miei fratelli siamo tre sentinelle di guardia che si tengono per mano, accanto alla nostra grande mamma, anche se divisi da un muro e da quella porta bianca.

Il medico ci manda a chiamare. È finita, pensiamo all’unisono. Ci ha lasciati. Entriamo in una piccola sala e aspettiamo che ce lo comunichino ufficialmente. Il medico in camice verde ci fa sedere, ci guarda negli occhi e dice: «La signora Luciana si è risvegliata!». Mio fratello Daniele si alza di scatto e lo abbraccia. Io e mia sorella Desirèe restiamo increduli.

«Ma come è possibile?» balbetto con gli occhi sbarrati. La risposta del medico ha in sé qualcosa di straordinario: «Se devo dirvi la verità, non me lo so proprio spiegare». La scienza non riesce a spiegare certi risvegli, ma riesce a fare i suoi miracoli. Qualche mese dopo, un bravissimo medico di Milano con un’operazione di sei ore ha messo in sicurezza per sempre quel capillare difettoso di mia madre. Da quando si è risvegliata dal coma, non è la stessa Luciana di prima: il suo corpo non risponde più, la sua anima è intrappolata in una corazza che non le permette di fare granché, né di esprimersi correttamente. E pensare che era una chiacchierona instancabile!

Nonostante il gravissimo colpo che ha subito è ancora qui, con la nostra grande famiglia, e i nipotini adorano quella nonna speciale. Riesce comunque a ricordare tutto, anche le ricette per cucinare. Nonostante non riesca più a camminare, è sempre in prima fila con la sua carrozzina, quando salgo sul palcoscenico a Roma.

Nonostante il sacrosanto diritto di essere arrabbiata, Luciana sorride.

Sorride comunque. E quando sorride, illumina il mondo.

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